Il killer di Monaco e il solito pippone sui videogiochi violenti

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-07-24

Dal Tg1 al ministro dell’interno tedesco fino ai giornali, il colpevole della strage del centro commerciale Olympia è stato trovato: il solito GTA.

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Dal ministro dell’interno tedesco al Tg1 italiano, anche stavolta quando qualcuno impazzisce e uccide il colpevole viene trovato subito: i “videogiochi violenti”. Sui giornali italiani oggi tocca al Messaggero scambiare i gamepad per pistole:

Ali Sonboly, il 18enne che a Monaco è entrato in un McDonald’s con in pugno una Glock 9mm e ha sparato sulla folla uccidendo nove persone,ha deciso così di rendere reale la finzione, di diventare lui stesso protagonista di quegli assalti vissuti chissà quante volte con un gamepad in mano, con videogiochi in stile “Gta”, uno dei più famosi simulatori di scorribande, rapine e sparatorie in città. E chissà quante volte sognava di trovarsi lui con un’arma in mano e di seminare il terrore in quelle strade popolate solo da nemici vestiti in abiti civili, gli stessi che lo prendevano in giro a scuola e lo umiliavano, gli stessi che lui voleva vedere fuggire disperati davanti alla sua determinata follia.

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Andrea Andrei ci spiega, bontà sua, che non è colpa dei videogiochi. Però certo, tutta questa violenza, signora mia, non se ne più: e le mezze stagioni?

Una mente turbata e fragile può prendere spunto da qualsiasi cosa per sfociare nella follia. La colpa non si può di certo attribuire ai videogiochi, ai film o, ancora peggio, al Web e ai social network, anche se il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière ieri ne ha invocato la regolamentazione. Ma è certo che le scene di violenza con cui gli adolescenti hanno a che fare oggi sono sempre più realistiche ed esplicite. Il nostro mondo, grazie alla tecnologia, è un mondo in presa diretta, che altrettanto direttamente viene fruito, da tutti. Il tabù della violenza è stato sdoganato e i più giovani hanno confidenza con certe scene. I film e i videogiochi non hanno fatto altro che adeguarsi al voyeurismo diffuso. Ciò non implica che i ragazzi vengano plagiati o istigati, ma che probabilmente, in un’altra epoca storica, per mettere in scena il suo “suicidio allargato”,come lo chiamano gli psicologi, Ali avrebbe avuto molti meno esempi a disposizione.

Eppure, come abbiamo scritto qualche tempo fa, leggere alcuni degli studi potrebbe davvero sorprendere… La meta-analisi pubblicata sul «Personality and Social Psychology Bulletin» (Video Games Do Affect Social Outcomes. A Meta-Analytic Review of the Effects of Violent and Prosocial Video Game Play) è molto tranquillizzante e, soprattutto, deriva dall’analisi di 98 studi e 37.000 partecipanti (chissà cosa direbbe di questi numeri Capua, visto che 1.400 l’avevano tanto impressionata). Si può leggere anche Video games are not making us more violent, study shows («The Guardian», 10 novembre 2014), sottotitolo: Long-term research into homicide rates and depictions of violence in video games and movies shows no significant relationship. Oppure Long-term US study finds no links between violent video games and youth violence, «The Independent», sempre 10 novembre 2014, sottotitolo: The researchers concluded that the current media narrative may “distract society from more pressing concerns such as poverty and education” (il rischio di una simile ossessione, insomma, potrebbe essere quello di distrarre da questioni importanti come educazione e povertà). Ci sono anche quelli che arrivano a conclusioni diverse (Little By Little, Violent Video Games Make Us More Aggressive, «Time», 24 marzo 2014), ma la discussione è quanto meno aperta – e non claustrofobica come pretenderebbero Capua e la sua amica pediatra. E dovrebbe comprendere anche altri media (Does Media Violence Predict Societal Violence? It Depends on What You Look at and When, «Journal of Communication», 5 novembre 2014).

Does Media Violence Predict SocietalViolence? It Depends on What You Look at and When
Does Media Violence Predict Societal Violence? It Depends on What You Look at and When

Per non parlare dei TG, di YouPorn, di Chat Roulette, delle serie tv, di Tinder, della realtà. Ogni volta che viene fuori l’effetto devastante dei (video)giochi moderni viene da pensare alle terrificanti fiabe irlandesi ma pure a Cappuccetto Rosso o al Re Leone (la morte della mamma di Bambi non riesco quasi nemmeno a nominarla). Sarebbe molto rassicurante pensare che i videogiochi siano i cattivoni, responsabili di tutte le atrocità che i genitori sgomenti immaginano assediare i propri figli (quasi per contagio: guardo x e allora sono x), eliminati i quali tutto tornerebbe alla inesistente arcadia del com’eravamo. Rassicurante e, a voler essere buoni, spaventosamente ingenuo. Dobbiamo solo sperare che la stupidità non sia altrettanto contagiosa. Ma anche questo, pare, è una vana illusione.

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