In Italia chi fa informazione riceve una minaccia al giorno ma nessuno ne parla

di Dario Lapenta

Pubblicato il 2017-01-19

Dal 2006 ad oggi sono avvenuti 3091 casi di minacce a giornalisti, blogger e operatori dell’informazione. Solo nel 2016 il bilancio è di 412 intimidazioni, fra le quali aggressioni gravi, danni al patrimonio e minacce di morte, finalizzate a impedire la diffusione di notizie sgradite. I dati di Ossigeno per l’Informazione

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In Italia chi vuole portare alla luce notizie di interesse pubblico corre seri rischi. Dal 2006 ad oggi sono avvenuti 3091 casi di minacce a giornalisti, blogger e operatori dell’informazione. Quasi una al giorno, nel silenzio pressoché totale degli organi di informazione. Questo è quanto emerso dal meticoloso lavoro di indagine portato avanti da Ossigeno per l’Informazione, osservatorio sui giornalisti minacciati promosso dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Solo nel 2016 il bilancio è di 412 intimidazioni, fra le quali aggressioni gravi, danni al patrimonio e minacce di morte, finalizzate a impedire la diffusione di notizie sgradite. Rispetto al 2015 diminuite di un centinaio, ma non significa che la situazione sia migliorata, perché il bilancio contiene solo i casi che l’osservatorio è riuscito a verificare.

In Italia chi fa informazione riceve una minaccia al giorno

I numeri resi noti da Ossigeno sono soltanto la punta dell’iceberg. “Per avere un dato che si avvicina alla realtà – afferma il direttore dell’osservatorio, Alberto Spampinato – bisogna moltiplicare almeno per 20 il numero degli ostacoli all’informazione.” Perché il ministero della Giustizia, grazie all’esplicita sollecitazione di Ossigeno, ha fatto sapere che le querele per diffamazione a mezzo stampa archiviate ogni anno prima di arrivare a processo sono 5125 su 5904. In sostanza quasi il 90 per cento sono fatte senza alcun presupposto giuridico. I dati del ministero, resi noti nel dossier “Taci o ti querelo” pubblicato da Ossigeno a ottobre, non solo confermano quanto già emerso, ma rivelano una situazione ancora più preoccupante.
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L’utilizzo strumentale della querela per diffamazione e della citazione in giudizio per danni sono le forme più frequenti di intimidazione a chi pubblica notizie sgradite. E chi querela senza alcun presupposto, spesso chiedendo cifre di risarcimento danni volutamente spropositate allo scopo di ostacolare l’informazione, non ne paga le conseguenze. Tutto questo è reso possibile a causa di leggi sbagliate che il Parlamento non corregge. “Presentare querela è facile e non costa nulla, – si legge nel dossier, realizzato dal direttore dell’osservatorio Spampinato con la collaborazione del docente di deontologia del giornalismo Giuseppe Federico Mennella e dell’ avv. Andrea di Pietro – chi commette questi abusi dovrebbe essere scoraggiato con gli strumenti previsti dal diritto, applicando in modo sistematico le penalità già previste per punire le liti temerarie. Si dovrebbe introdurre una norma che preveda, per la diffamazione, la condanna automatica del querelante alle spese e al risarcimento in caso di archiviazione.”

…ma nessuno ne parla

Introdurre dei limiti alle querele permetterebbe a chi fa informazione di non essere ostacolato e di esercitare un diritto sancito dalla nostra Costituzione. Secondo quanto stimato in base ai dati del ministero della Giustizia, il numero delle querele aumenta a un ritmo dell’ 8 per cento ogni anno. I processi che si aprono sono molto maggiori di quelli che gli uffici giudiziari sono in grado di trattare. Se non si interviene, si legge ancora nel dossier, i procedimenti penali per diffamazione a mezzo stampa potrebbero diventare 7500 all’anno. A questo si aggiunge anche l’eccessiva durata dei processi, che va a scapito dei giornalisti e operatori dell’informazione. Per arrivare a una sentenza di primo grado ci vogliono in media 6 anni e quattro mesi, ma la prescrizione arriva, a seconda del caso, dai 6 ai 7 anni e mezzo. Questo significa che se si fa ricorso in appello per correggere eventuali errori giudiziari, il procedimento è di norma già prescritto ma l’eventuale condanna in primo grado rimane.
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E’ così che viene prodotto un effetto raggelante sull’informazione che può portare all’autocensura. Le vittime delle quali Ossigeno ha preso nota hanno un nome e un cognome, resi noti in segno di solidarietà.

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