Isis: cos'è e perché dobbiamo averne paura

di Elsa Stella

Pubblicato il 2014-09-01

Dall’egemonia in Medio Oriente alla minacciata conquista del mondo: il califfato nero guadagna terreno in Iraq e terrorizza l’Occidente

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Da costola di al-Qaeda in Iraq a Califfato islamico con mire egemoniche su Giordania, Israele, Palestina, Libano, Cipro e Turchia meridionale, regioni nelle quali vuole instaurare la Sharia, la legge coranica. L’Isis (Stato islamico del Levante) o Is, Stato islamico, come vuole essere chiamato ora, è nato nel 2013 e fa paura al mondo con spietati bagni di sangue e conquiste militari. Nelle sue file si sono arruolati centinaia di giovani occidentali nati islamici o convertiti (almeno cinquanta italiani, secondo il ministro Alfano), e l’organizzazione si è accreditata come il principale gruppo jihadista che combatte le forze governative in Siria e Iraq. Tutti quelli che gli si oppongono – minoranze religiose, sunniti moderati, forze sciite e curde – vengono uccisi senza pietà.
 
ISIS: COS’È E PERCHÉ DOBBIAMO AVERNE PAURA[pullquote]Responsabile della crescita politica e militare dell’Isis in Iraq è il primo ministro iracheno, con la sua politica di esclusione dei sunniti dalle leve di comando[/pullquote]
Lo scenario nel quale l’Isis si è imposto è quello della secolare lotta fratricida tra sciiti e sunniti, le due anime dell’Islam scaturite dalla successione al profeta Maometto (ma il vero conflitto tra Scia e Sunna è di natura politica, non religiosa), e i governi di Iraq, Iran e Arabia Saudita hanno svolto un ruolo essenziale nella sua ascesa, come hanno fatto gli stessi Stati Uniti.

Isis: cos'è e perché dobbiamo averne paura
Isis: i territori conquistati (Foreign Policy)

Responsabile della crescita politica e militare dell’Isis in Iraq è il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, destituito da poche settimane, che dal 2006 ha retto un governo autoritario sciita (la componente largamente maggioritaria nel paese) che ha sistematicamente escluso i sunniti dal potere, reprimendoli in ogni modo e associandoli alle malefatte del regime di Saddam (la minoranza sunnita era la spina dorsale del regime del raìs di Baghdad). Questo ha consentito all’Isis di allargare il conflitto che stava conducendo in Siria (dove il regime sciita di Assad teneva in scacco la maggioranza sunnita del paese) conquistando consensi e territori anche in Iraq. La politica di esclusione di al-Maliki ha convinto molti sunniti iracheni che l’Isis e le altre milizie sunnite costituissero una alternativa concreta per rovesciare questa  situazione (e riprendersi le leve del potere, che hanno sempre considerato di loro legittima spettanza). Quando i militanti dell’Isis  sono entrati a Mosul, due mesi fa, e hanno rubato dalle banche milioni di dollari, aprendo i cancelli delle prigioni e dando fuoco ai blindati militari, una parte della popolazione li ha accolti come liberatori, lanciando pietre contro i soldati iracheni in ritirata; e fra la stessa componente sunnita delle forze armate regolari molti si sono spogliati delle divise, aderendo alla compagine jihadista. Questo sostegno popolare spiega le recenti rapide conquiste messe a segno dall’Isis in territorio iracheno, e spiega anche il fallimento di al-Qaida, che al sostegno popolare (e a un’accorta politica di immagine e propaganda) non ha mai prestato molta attenzione. Rientra in questa strategia la diffusione del video con la decapitazione del reporter americano James Foley, barbaramente assassinato davanti alla telecamera, con una sofisticata messa in scena e una abilissima regia.
 
GLI STATI UNITI, L’IRAQ E L’ISIS[pullquote]Ma i primi responsabili della situazione cui assistiamo oggi sono stati indubbiamente gli Stati Uniti con l’invasione[/pullquote]
Ma i primi responsabili della situazione cui assistiamo oggi sono stati indubbiamente gli Stati Uniti, che invadendo l’Iraq hanno fatto saltare gli equilibri che il regime di Saddam assicurava, scatenando la guerra tra le due anime dell’Islam. E’ stata l’invasione a dare fiato ad al-Qaeda in Iraq, accreditando l’Isis,  nato come sua “succursale” locale, quale primario attore politico e militare. C’è tuttavia un altro elemento da non sottovalutare: l’interesse della diplomazia Usa a contenere l’influenza dell’Iran, un paese le cui forze armate superano di gran lunga la consistenza di quelle dei piccoli vicini, che ha una lunga storia di dominio regionale e non condivide con gli altri paesi l’origine araba, ma vanta una plurimillenaria tradizione culturale, quella persiana. La Gran Bretagna ha tratto profitto dalla rivalità  fra arabi e persiani per 150 anni, dall’inizio dell’ottocento; il testimone è poi passato agli Stati Uniti, che si sono barcamenati tra Persia dello scià e Arabia Saudita servendosi di entrambi come baluardo contro la penetrazione sovietica. La rivoluzione degli ayatollah, nel ’79, pose fine all’arbitrato americano; i paesi arabi si riallinearono quindi intorno all’Iraq di Saddam Hussein e al suo governo “laico”, in funzione anti iraniana.
Isis: l'obiettivo finale del califfato nero (mirror.co.uk)
Isis: l’obiettivo finale del califfato nero (mirror.co.uk)

Appare quindi comprensibile che l’Iran si impegni a intervenire contro il “califfato nero” in cambio della ripresa dei colloqui sul nucleare con i paesi occidentali (un nuovo  incontro dovrebbe aver luogo a settembre). L’Iran sta oggi subendo il peso delle sanzioni economiche imposte da Nazioni Unite, Usa e Unione Europea, che vogliono fermare il programma nucleare di Teheran, sospettata di puntare alla bomba atomica. Già nel 2012  l’Iran, governato dagli sciiti e alleato del regime siriano, aveva inviato migliaia di soldati in Siria, riuscendo a capovolgere le sorti del conflitto quando Assad veniva dato per spacciato. Questo tuttavia ha permesso al dittatore siriano di riprendere fiato contro i suoi oppositori moderati lasciando ampio spazio all’Isis, che ha potuto così accreditarsi come unica forza in grado di spodestarlo.
 
IL RUOLO DELLE MONARCHIE MEDIORIENTALI[pullquote]Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, dal canto loro, hanno pompato le fortune dell’Isis con finanziamenti miliardari[/pullquote]
Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, dal canto loro, hanno pompato le fortune dell’Isis con finanziamenti miliardari. Oggi l’organizzazione ricava gran parte dei suoi proventi dai pozzi di petrolio della Siria orientale, da balzelli e “tasse rivoluzionarie” imposti sui territori che controlla e dal crimine organizzato; ma tra il 2011 e il 2012 i soldi arrivavano soprattutto dalle monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Qatar e Kuwait) a fini anti Assad e anti Iran. L’Isis è guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, del quale ben poco è dato sapere. E’ lui, l’autoproclamato califfo, che un mese fa promise di conquistare Roma e il mondo intero, esortando tutti i musulmani alla guerra santa contro gli infedeli. La leggenda nera di parte sciita ne parla come di un personaggio  al soldo del Mossad, persino di un ebreo che conquistando territori arabi fa in realtà il gioco di Israele; secondo fonti iraniane sarebbe stato sottoposto al lavaggio del cervello mentre era detenuto dagli americani (era stato fermato a Falluja ma in seguito rilasciato). Di certo si accreditò come leader di al-Qaeda in Iraq, crreando la cellula che divenne poi l’Isis. Nel marzo scorso le sue milizie hanno conquistato la città siriana di Raqqa, proclamata capitale dell’erigendo califfato.
 
Isis: cos'è e perché dobbiamo averne paura
Come si finanzia l’Isis (infografica Corriere della Sera)

QUALI SVILUPPI[pullquote]Una terza guerra mondiale in arrivo?[/pullquote]
Quali i possibili sviluppi? C’è chi paventa una terza guerra mondiale scatenata dal coinvolgimento dell’occidente in medio oriente, chi già vede il califfato alle porte delle nostre città: ma l’apprensione che ci coinvolge tutti in questa inaspettata estate di sangue nasce da lontano, e in questo momento l’unico rischio tangibile è quello di attentati terroristici in casa nostra. Il ministro degli esteri Mogherini ha espresso preoccupazione, dopo la decisione del parlamento di inviare armi ai pashmerga curdi per contrastare l’avanzata dell’Isis in Iraq, per la possibilità di attentati in occidente: “E’ chiaro che nessun paese è immune da rischi – ha ammonito, – L’isis ha fatto proseliti anche in occidente”. E la sicurezza viene rafforzata in tutte le capitali alla vigilia di settembre, mese prediletto dal terrorismo per sferrare i suoi attacchi più sanguinosi.

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