«In Grecia dovranno scegliere tra Syriza e l'euro»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-04-26

Lo spettro di un piano B torna a girare per l’Europa. E intanto i giornali tornano ad attaccare Tsipras e Varoufakis

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L’uscita di Atene dall’euro “è un’ipotesi molto lontana”, rassicura il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, mentre il collega tedesco Wolfgang Schaeuble sottolinea che ora “la responsabilità è nelle mani di Atene”, solo TSipras può evitare il fallimento. Il primo ad ammettere di aver chiesto ai colleghi un piano alternativo qualora la Grecia dovesse fallire, è stato il ministro sloveno delle finanze, Dusan Mramor: “Un piano B può essere qualsiasi cosa, quello che ho detto (agli altri ministri all’Eurogruppo, ndr) è che cosa faremo se un nuovo piano non sarà varato in tempo e la Grecia non sarà in grado di rifinanziarsi o migliorare la liquidità”, ha spiegato ai giornalisti. Dijsselbloem ha confermato: “Alcuni Paesi, a causa delle loro preoccupazioni sulla mancanza di progressi e l’attitudine da parte greca, hanno detto che se continua così, saremo veramente nei guai, e in quel contesto è stato menzionato un piano B”.
 
 
«IN GRECIA DOVRANNO SCEGLIERE TRA SYRIZA E L’EURO»
Ma nell’Eurogruppo non tutti ritengono utile parlare di alternative per mettere pressione alla Grecia: “Non c’è un piano B, stiamo lavorando per raggiungere un accordo ed è l’unico piano che abbiamo”, ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici. Tanto che alcuni, irritati dalla chiusura del francese, hanno continuato a discuterne a margine della riunione, senza di lui. Il problema è che il tempo sta finendo, come ricorda anche oggi il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, e la Grecia non ha ancora presentato né una lista di riforme né un quadro chiaro di bilancio, come ricorda Padoan. Perciò diversi ministri si preoccupano di cosa accadrà nel caso in cui l’Eurogruppo dell’11 maggio dovesse finire con un altro nulla di fatto. Senza aiuti e con 0,7 miliardi da rimborsare al Fmi il giorno dopo, la Grecia sarebbe automaticamente in default. In quel caso, spiegano fonti, toccherebbe alla politica intervenire perché teoricamente la Bce potrebbe ancora continuare a finanziare le banche greche per qualche tempo, a meno che non collassasse il sistema bancario. E d’altra parte la Spagna, non a caso fra i più forti critici del governo Tsipras, va in controtendenza. Il ministro De Guindos annuncia di voler rimborsare in anticipo una nuova tranche dei 41 miliardi di euro dei fondi Ue ricevuti nel 2012 per salvare le banche. Il basso spread, le banche in risanamento, il Pil in crescita (ma una disoccupazione ancora elevatissima) disegnano un paese completamente cambiato e oramai con pieno accesso ai mercati dove si finanzia a tassi sotto zero sui titoli fino ai 6 mesi.

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L’infografica del Sole 24 Ore sul salvataggio della Grecia nel 2009

IL PIANO A, IL PIANO B
E nel frattempo Danilo Taino sul Corriere della Sera, già distintosi all’epoca della bufala del referendum sull’euro di Varoufakis, torna a immaginare catastrofici scenari futuri a proposito di Syriza e della tenuta del governo di Tsipras:

Schäuble ha evocato la riunificazione tedesca del 1990, per dire come allora lui e Helmut Kohl tennero le loro carte ben coperte fino all’ultimo, prima di fare annunci. Questa volta, però, è diverso: la scelta politica di lasciare andare la Grecia non è stata fatta, la cancelliera Merkel la accetterebbe solo se fosse inevitabile e l’intenzione venisse da Atene. E come lei praticamente tutti i governi europei. Il piano B a cui fa riferimento il ministro delle Finanze tedesco, dunque, sta nella preparazione di un piano nel caso Atene non riuscisse a pagare una rata del debito che ha con i creditori: il governo guidato da Syriza ha le casse pressoché vuote. Se questa rata fosse dovuta al Fondo monetario internazionale,resterebbe ai greci un mese di «grazia» per pagare (se la rata fosse della Bce è meno automatico cosa succederebbe).
Da subito, però, dovrebbe essere pronto un piano di emergenza, che a Berlino e non solo è già in preparazione. Eventuale chiusura delle banche greche per evitare la corsa agli sportelli e introduzione di controlli sui movimenti di capitale. Anche l’eventualità dell’emissione di una forma di pagamento greca parallela all’euro, momentanea, per uso interno è presa inconsiderazione. A quel punto tutto si drammatizzerebbe e il governo di Alexis Tsipras dovrebbe fare scelte di emergenza politica, oltre che finanziaria. Probabilmente ricorrerebbe a nuove elezioni o a un referendum. I greci dovrebbero scegliere tra Syriza e l’euro.

In realtà, come abbiamo scoperto nei giorni precedenti, gli attacchi a Varoufakis della stampa e le “indiscrezioni” sull’inadeguatezza del ministro delle Finanze finora si sono rivelate un buco nell’acqua, così come le parole in libertà sui referendum sull’euro prossimi venturi. La verità è che la Grecia non ha votato Syriza perché è improvvisamente impazzita per Tsipras, ma per la convinzione che il metodo dell’UE per portare fuori il paese dalla crisi non sta funzionando. Ed è su questo che si gioca semmai il futuro politico di Atene. E quello dell’Europa.
 

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