Il sindaco che litiga con il prete a Telenorba

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-02-01

“Se il sindaco intende accettare il perdono, la questione finisce qui e ci fa immensamente piacere. Ma se il sindaco avesse in animo di porre egli querela, pur nell’amarezza di una frizione personale, risponderemo per le rime e faremo la nostra tempestiva querela, con la promessa di devolvere il risarcimento del danno a favore dei …

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“Se il sindaco intende accettare il perdono, la questione finisce qui e ci fa immensamente piacere. Ma se il sindaco avesse in animo di porre egli querela, pur nell’amarezza di una frizione personale, risponderemo per le rime e faremo la nostra tempestiva querela, con la promessa di devolvere il risarcimento del danno a favore dei poveri, senza discriminazioni, di razza, di sesso, di religione o quant’ altro”. Lo scrive l’avvocato Pasquale Bottiglione per conto di don Luigi Larizza, il parroco del Sacro Cuore di Taranto che nei giorni scorsi ha avuto un acceso diverbio con il sindaco Ippazio Stefano davanti alle telecamere della trasmissione “Luciano l’amaro quotidiano” di Telenorba. Il sacerdote contestava al primo cittadino di essersi adoperato per l’accoglienza ai migranti, portando loro anche cornetti caldi, e di non aver riservato la stessa attenzione agli sfollati del palazzo di via Giovan Giovine costretti a dormire nell’androne dopo il crollo di un solaio. “Si tolga il colletto che porta” aveva detto il sindaco. E il sacerdote aveva replicato: “E lei si dimetta da sindaco”. Secondo l’avvocato Bottiglione la frase “togliti il colletto” va interpretata come “smetti di fare il prete perché non sei degno, ovvero smetti di fare il prete se vuoi fare politica. Tale allocuzione contiene una peculiare violenza verbale perché pronunciata dal primo cittadino e non da persona qualsiasi”. Don Luigi, aggiunge il legale, “ha replicato al sindaco dicendogli dimettiti’ ma tale frase rientra nella libertà di opinione e di critica che spetta ad ogni cittadino che gode del diritto di pensiero, di parola e giudizio nei confronti di chi espleta un pubblico mandato”.

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