Il silenzio dell'Italia sul processo ai giornalisti per il Vatileaks

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-11-25

Fittipaldi e Nuzzi alla sbarra per un’accusa ridicola: che dice il governo?

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Luigi La Spina su La Stampa di oggi critica l’atteggiamento del governo italiano, che non ha ancora preso posizione nei confronti del processo del Vaticano nei confronti di Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, autori di due libri che hanno fatto incazzare Papa Francesco:
 

L’accusa, come detto, oltre a violare clamorosamente i principi generali del diritto internazionale, perlomeno negli Stati civili, è piuttosto confusa. Ieri, alla prima udienza, il promotore di giustizia, Roberto Zannotti, ha cercato di giustificarla affermando che si contesta «non la pubblicazione di documenti, ma le modalità di acquisizione dei documenti». Una spiegazione che non specifica, come dovrebbe, i presunti illeciti commessi dagli imputati, ma soprattutto ignora i diritti, ma anche i doveri di coloro che svolgono la funzione del giornalista.
In questo caso, tra l’altro, non sono stati rivelati «segreti di Stato» che possano mettere in pericolo la sicurezza della Santa Sede. A meno che la dimensione dell’attico del cardinale Bertone o il parziale pagamento di quella ristrutturazione edilizia da parte dell’ospedale Bambin Gesù siano considerati, appunto, «segreti di Stato». Ci si dimentica, inoltre, che la proibizione di «divulgare notizie vietate», contenuta nelle norme del codice vaticano, può essere legittimamente invocata per i dipendenti della curia romana, ma non dovrebbe essere applicata per due giornalisti italiani.

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Le note spese del Vaticano (Repubblica, 10 novembre 2015)

Se il dibattimento arrivasse a una sentenza di condanna, poi, si produrrebbero conseguenze davvero farsesche e assurde:

In quel caso, se Nuzzi e Fittipaldi mettessero piede in piazza San Pietro potrebbero essere arrestati dalle Guardie svizzere o lo Stato italiano dovrebbe decidere, davanti a una richiesta vaticana d’esecuzione della pena, se concedere una clamorosa estradizione. Concedendo, nel contempo, una aureola di martirio ai due giornalisti del tutto immeritata e francamente ridicola. Al di là delle intricate questioni giuridiche, dell’applicazione di un Concordato tra Stato e Chiesa che, comunque, non può essere in contrasto con la Costituzione italiana, c’è poi un drammatico boomerang comunicativo tra questo discutibile processo e il desiderio di trasparenza, la volontà di cambiamento di un vergognoso malcostume annidato da decenni ai vertici vaticani intrapresi, con grande coraggio e, forse, in un certo isolamento, da parte di Papa Francesco.
Quale fiducia possono nutrire i tanti cattolici che, in Italia e nel mondo, sperano e pregano per il successo di questa benemerita operazione di riforma papale se, alla rivelazione degli scandali, la risposta vaticana sta nell’incriminazione di chi li ha pubblicati? E se, come si dice, si volesse arrivare al verdetto prima dell’inizio del Giubileo, si potrebbe davvero pensare a un felice esordio del «giubileo della misericordia»?

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