Ma davvero i genitori omosessuali potrebbero «danneggiare» i loro figli?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-02-04

Davvero i genitori omosessuali potrebbero “danneggiare” i figli? Davvero la Cirinnà legalizza l’eterologa come sostiene la Lorenzin? Al di là delle dichiarazioni ad uso e consumo dei titoli dei giornali, cosa dicono gli studi scientifici e cosa dice la legge sulle Unioni Civili in discussione in Senato?

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Ieri il presidente della Società italiana di pediatria Giovanni Corsello è intervenuto sul tema delle Unioni Civili e ha detto che «vivere in una famiglia senza la figura materna o paterna potrebbe danneggiare il bambino». Il riferimento era ovviamente alla possibilità – prevista dalla legge in discussione al Senato – per il coniuge di un un’unione regolamentata dal DDL Cirinnà di adottare il figlio biologico del partner. Ovvero la cosiddetta Stepchild Adoption che è il punto più duramente criticato da chi è contrario alle unioni tra persone dello stesso sesso.

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Cosa prevede la legge sulle Unioni Civili (fonte Il Messaggero)

Stepchild adoption, adozioni ed eterologa: ovvero come fare confusione

Chi si oppone all’approvazione del DDL Cirinnà lo fa sostenendo la tesi che una legge in materia di matrimoni omosessuali avrebbe due conseguenze: l’introduzione delle adozioni gay e la legalizzazione della pratica della maternità surrogata (anche detta “utero in affitto”). Due aspetti questi che vengono indicati come l’obiettivo finale delle lobby gay che spingono per l’approvazione della legge. Come ho spiegato qui e dimostrato qui però la stepchild adoption ha per la verità ben poco a che fare con la proposta di legge in discussione in Parlamento. In primo luogo perché – di fatto – l’adozione del figlio biologico del partner anche nei casi di famiglie con genitori omosessuali viene già sancita da sentenze dei tribunali dei minori. In secondo luogo perché la stepchild adoption non è “l’adozione gay” come è evidente dal fatto che si tratta più semplicemente del riconoscimento, da parte dello Stato, del ruolo di genitore di uno dei due coniugi (l’altro biologicamente lo è già) e non di un’adozione tout court. In secondo luogo, nonostante quello che ha scritto ieri il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin su Facebook che ha invitato tutte le donne in Parlamento ad aprire una discussione «sull’adozione da parte delle coppie dello stesso sesso del ddl Cirinnà, che si traduce automaticamente nella legittimazione dell’utero in affitto e dell’eterologa. Tutto questo non ha nulla a che fare con il riconoscimento, giusto per me, delle unioni civili e del rispetto per le coppie omosessuali» la legge sulle Unioni Civili non si traduce “automaticamente” in nulla di tutto questo. Perché l’utero in affitto è esplicitamente vietato dalla Legge 40 mentre invece il divieto alla fecondazione eterologa è stato giudicato illegittimo da questo pronunciamento della Corte Costituzionale. Quindi, riassumendo il concetto per il Ministro: utero in affito = no; fecondazione eterologa = Corte Costituzionale. E le idee poco chiare in merito alla normativa vigente le ha pure Giovanni Corsello dal momento che in un’intervista pubblicata oggi su Repubblica per spiegare meglio il suo pensiero ci fa capire di non sapere quasi nulla sull’argomento quando parla di “nuove adozioni” (di nuovo, non sono contemplate dalla legge)

Quindi lei è contrario all’adozione di bambini da parte di famiglie omosessuali?
«Io sono favorevole a un meccanismo che consenta le adozioni in situazioni che sono già consolidate da tempo e che quindi vedono il minore in piena armonia con la coppia. Per me va bene
la stepchild adoption, ma nel caso di nuove adozioni prevederei dei meccanismi di valutazione più stringenti».
Più stringenti di quelli attuali?
«Sì, serve una valutazione alternativa e molto attenta. Occorre valutare bene per la crescita del minore».

Del resto anche ieri si era capito che Corsello stava parlando a vanvera quando diceva che «la stepchild adoption dovrebbe comprendere anche i profili clinici e psicologici del bambino e dell’adolescente» ed evidentemente non aveva presente come funziona l’istituto dell’adozione in casi particolari che si propone di tutelare “la realizzazione del preminente interesse del minore” soprattutto in quella parte ove il Tribunale dei Minori è chiamato a giudicare (avvalendosi delle perizie degli specialisti) l’idoneita’ affettiva e la capacita’ di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti come stabilito dall’Art. 57 della legge n. 184/1983. Ed in fondo nell’intervista di oggi lo stesso Corsello ammette che non c’è un vero e proprio consenso scientifico a proposito delle conseguenze sui figli di coppie omogenitoriali:

Professore, davvero crescere in una coppia omosessuale potrebbe creare danni allo sviluppo del bambino?
«Ogni caso va valutato singolarmente. Non ci sono studi scientifici che dimostrano che un bambino non può crescere bene in una famiglia con componenti dello stesso sesso. Ma ci sono studi che dimostrano che la
crescita di un bambino e la sua maturazione psicologica e affettiva dipende dal contesto familiare ma anche dal confronto con i coetanei. Una sensazione di diversità per chi cresce in una coppia gay può essere causa di
sofferenza o ansia nel bambino e nell’adolescente. Non si può escludere che avere genitori dello stesso sesso sia causa di diversità e di sviluppo non perfettamente regolare».

Il che è come dire che solo i figli di coppie omosessuali soffrono di ansia o di disturbi psicologici, sarebbe sufficiente rivolgersi ai servizi sociali o a psicologi e psicoterapeuti dell’età evolutiva per rendersi conto che le cose non stanno così e che anche i bambini di coppie eterosessuali (che sono la maggioranza) hanno gli stessi problemi. Riguardo invece la “diversità” Corsello commette un errore diverso e forse più profondo, ammettendo implicitamente che la diversità in sé (e naturalmente anche l’omosessualità) è una psicopatologia e quindi un problema da curare e risolvere.

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Riguardo la psico-patologizzazione dell’omogenitorialità

Se poi vogliamo andare a guardare al numero degli studi pro e contro (che nulla ci dice sulla qualità degli stessi che è oggetto di contestazioni a volte molto aspre) a quanto pare ci sono 73 studi scientifici che pretendono di dimostrare che non ci sono differenze tra figli di genitori eterosessuali e figli di genitori omosessuali e 4 studi che invece pretendono di dimostrare che la famiglia naturale è meglio di quella omosessuale. Quali sono i limiti di tutti questi e 77 studi? Il limite principale è la limitatezza del campione che spesso non è sufficientemente rappresentativo. Nei casi dei quattro studi che hanno dimostrato che i figli di coppie omosessuali hanno degli “svantaggi” ad esempio si sono prese in considerazione famiglie omogenitoriali dove il figlio è nato da una precedente relazione eterosessuale (succede!) che è terminata con un divorzio o una separazione. Difficile in quei casi stabilire se le difficoltà per il minore siano derivate unicamente dalla nuova relazione omosessuale di uno dei due genitori o dal divorzio della coppia di genitori biologici. Si tratterebbe quindi di figli non pianificati dalla coppia omogenitoriale e quindi è più complesso fare il paragone con una situazione di una famiglia tradizionale. Certo, l’obiezione degli autori e dei loro sostenitori è che quelli presi in esame sono i casi reali sui quali ci si deve confrontare adesso e quindi gli unici sui quali si può condurre uno studio. C’è da dire però che allora le stesse difficoltà le hanno anche i figli di divorziati risposati eterosessuali quindi – di nuovo – dove sarebbe la differenza? In altri casi, e vale anche per chi sostiene che non ci sono differenze sostanziali, il limite è la durata nel tempo degli studi, lo sottolinea anche Giampietro Chiamenti, presidente nazionale Fimp, la federazione dei medici pediatri, che in una nota  spiega come il tema delle adozioni dei bambini in contesti famigliari “non tradizionali”, «volendolo affrontare scientificamente dovrebbe essere studiato con molto rigore metodologico e per un periodo osservazionale abbastanza lungo da permettere conclusioni obiettivamente sostenibili». C’è inoltre da tenere in considerazione un ultimo aspetto, i figli di cui si sta parlando e che beneficeranno (perché in questo senso la Cirinnà è indubbiamente a loro favore) della legge sulle Unioni Civili sono già nati. La loro situazione è quindi già precaria e non si capisce in che modo, negare loro gli stessi diritti che hanno altri bambini possa aiutare una corretta crescita psicologica. Forse chi sostiene che le famiglie omogenitoriali sono inadatte a crescere dei figli preferirebbe che questi bambini venissero affidati ad una famiglia estranea. A quanto pare invece il discorso sui pericoli dell’omogenitorialità per i bambini nasconde invece il timore – questo sì invece scientificamente infondato – che l’omosessualità sia una patologia che possa essere in qualche modo trasmessa dall’esempio educativo dei genitori. Insomma non è che qualcuno sostiene che è più probabile che il figlio di un genitore omosessuale diventi omosessuale ed è per questo che non vuole che i gay possano accedere all’istituto della stepchild adoption? Il punto è che non ci sono prove scientifiche a dimostrazione del fatto che l’omosessualità sia una patologia, per cui chi lo sostiene lo sta facendo – questa volta sì – senza alcuna base scientifica. Ma se fosse sufficiente avere un genitore omosessuale per diventare omosessuale da dove vengono fuori i gay nati da coppie eterosessuali? Come dice oggi Massimo Ammaniti, psicoanalista, professore universitario di psicopatologia dell’età evolutiva a Repubblica «Conta l’affetto, la capacità di prendersi cura di un bambino, non il sesso dei genitori». Che è quello che scriveva su NeXt anche Luca Nicoli psicoterapeuta e psicoanalista, membro SPI (società psicoanalitica italiana) e redattore della Rivista di Psicoanalisi quando spiegava che in tema di omogenitorialità:

I principali bisogni affettivi di bambini e adolescenti hanno a che fare con la presenza di adulti prevedibili e affidabili, chiari e costanti nelle loro richieste, disponibili all’ascolto e pazienti nell’assistere alla crescita dei figli, pronti a sorprendersi per le loro capacità ed esperienze, disponibili ad un dialogo e a uno scambio emotivo franco e ad ampio spettro, rassicuranti. Certamente i bambini hanno anche bisogno di avere modelli dell’identità di genere, ma su questo punto si trascura il fatto che gli omosessuali per lo più hanno anche un’identità sessuale ben definita (i maschi si fanno la barba e il nodo alla cravatta, ad esempio), così come il fatto che l’identità sia il risultato di una integrazione personale di tante identificazioni sia con gli adulti che si hanno introrno: zii, nonni, insegnanti, allenatori, sia del mondo televisivo, che oggi fornisce una buona parte del materiale “familiare” che i bambini assorbono. Basti pensare alla famosa (o famigerata?) “famiglia del Mulino Bianco”, ai Robinson, i Simpson, i Cesaroni, una mamma per amica, e tutte le innumerevoli costellazioni familiari presentate quotidianamente dai palinsesti.

Foto copertina via Twitter.com

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