Il pasticcio del M5S a Ravenna

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-01-14

I carabinieri intervengono in assemblea, due fazioni litigano dopo un voto regolare per accuse risibili di conflitto d’interesse sulla candidata regolarmente eletta. Poi arriva la richiesta di espulsione allo staff di Beppe Grillo. Il tafazzismo impera ovunque

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E alla fine arrivò la sfiducia. Il MoVimento 5 Stelle di Ravenna ha sfiduciato ufficialmente la consigliera Francesca Santarella con un voto e ha chiesto allo staff di Beppe Grillo di ritirare l’autorizzazione all’utilizzo del logo alla fine di una vicenda che era cominciata con il tentativo surrettizio di escludere la candidata ufficiale alle prossime elezioni Michela Guerra ed era proseguito con la presentazione da parte della stessa Santarella di una lista alternativa a quella che aveva vinto le primarie dei grillini, mentre giusto ieri in un’assemblea di zona si era reso necessario l’intervento dei carabinieri.

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La lettera di sfiducia a Francesca Santarella dal Meetup di Ravenna


Il pasticcio del M5S a Ravenna

Per raccontare la storia bisogna cominciare da un passo indietro. Michela Guerra, 43 anni, avvocato, ex amministratore delegato della clinica privata San Francesco ed ex Presidente dell’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) della provincia di Ravenna viene designata dal Movimento 5 Stelle come candidato sindaco di Ravenna per le elezioni del giugno 2016 con una maggioranza di 60 voti su 80 votanti vincendo sugli altri candidati, Fabrizio Martelli e Fausto Geminiani. Tra coloro che disertano la selezione c’è Francesca Santarella, consigliera comunale da tempo in rotta con il capogruppo Pietro Vandini, che invece è un fautore della candidatura della Guerra. Subito dopo il voto però lo staff di Milano (cioè, la Casaleggio) viene raggiunto dalla richiesta di escludere la Guerra accusandola di conflitto d’interesse perché ha ereditato, dopo la candidatura, azioni di proprietà di una clinica. Come aggravante (sic) c’è anche l’esperienza di associato alla rappresentanza delle aziende locale. Chi ha accusato la Guerra? Per capirlo bisogna leggere l’intervista rilasciata dalla stessa Guerra al Resto del Carlino: «Ho incontrato un legale e abbiamo fatto partire una diffida nei confronti di una piccola minoranza del Movimento 5 Stelle. Ci sono persone che continuano ad offendermi e a screditarmi sul piano personale. Diffondendo notizie dannose sul mio conto, su ipotetici conflitti di interesse che mi riguarderebbero». E chi è stato? «Il danno che subisco è su due piani differenti: quello personale, per gli attacchi che continuo a ricevo solo e unicamente allo scopo di screditarmi, e quello politico. Sembra addirittura sia stata inviata una seconda lista. Questa piccola minoranza avrebbe mandato una lista alternativa, segreta. A noi l’informazione è arrivata da Milano, non da Ravenna». Il riferimento a Milano dovrebbe essere piuttosto chiaro: è stato lo staff di Grillo, ovvero la Casaleggio, ad avvertire la Guerra delle intenzioni della “piccola minoranza”. Che ha evidentemente chiesto aiuto allo staff per scalzare la candidata, senza però ricevere l'”aiuto” voluto visto che molto correttamente la Casaleggio ha rimbalzato la richiesta e avvertito la Guerra.
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A quel punto, andata in vacca la richiesta di espulsione, non rimane che scoprire le carte. Anche perché i candidati della lista della Guerra nel frattempo incrociano la Santarella in tribunale dove si erano recati a ritirare i documenti per la loro lista. «Noi l’abbiamo vista, lei non sapeva che l’avessimo vista e ha tentato di scappare facendo cadere decine di fogli», ci racconta uno di loro. E allora Francesca Santarella dichiara di aver inviato una richiesta di certificazione per una seconda lista allo staff di Grillo: come nel caso di Bologna, quando la presentazione della lista di Bugani aveva scatenato le proteste e da qui era partito l’invito a presentare una seconda lista con conseguente voto per la scelta degli attivisti (ma alla fine tutto si è “risolto” con l’espulsione di Lorenzo Andraghetti), si sarebbe quindi dovuto votare.

L’assemblea del MoVimento 5 Stelle Ravenna e l’intervento dei carabinieri

Ma la notizia scatena le reazioni della parte della Guerra e della sua fazione, che in effetti un voto l’aveva già organizzato e vinto. L’assemblea settimanale di lunedì 11 gennaio, convocata come momento di confronto tra le due diverse fazioni del gruppo, comincia con l’intervento dei carabinieri, chiamati dal gruppo della Santarella perché non voleva registrarsi con nome e cognome e firmare un modulo all’ingresso della sala, come era necessario per la videoregistrazione.


La riunione va  avanti con scambi di accuse reciproche tra le due fazioni: la Santarella accusa Vandini di averla esclusa scientemente dalle decisioni sulla lista da presentare, lui ribatte: «Hai sempre partecipato in assemblea, ma sei sempre rimasta in minoranza. E quando tu e il suo gruppo vi siete resi contro che le cose non vi andavano più bene, avete fatto una lista segreta, nel modo più sporco possibile». E accusa anche la Santarella di “vicinanza” con la Lega Nord. Dopo l’assemblea la stessa Santarella si difende con un lungo messaggio sulla pagina del M5S Ravenna:

Il silenzio finora adottato non può aver recato danno ad alcuna altra lista. Il silenzio non è mai diffamatorio. Il silenzio è imposto dal regolamento del Movimento che permette solo alla lista certificata e agli eletti, durante la loro attività istituzionale, di proporsi come Movimento 5 Stelle alla cittadinanza.
Rendiamo pubblico di aver inoltrato richiesta di “certificazione” secondo le modalità indicate dal Movimento. Attendiamo dunque serenamente l’esito della nostra richiesta, nell’auspicio che a Ravenna possa presentarsi, qualunque essa sia, una lista Cinque Stelle degna di portare avanti le idee che hanno riavvicinato tante persone alla politica e alla speranza in un’Italia più onesta, rispettata e custodita come il nostro bene più prezioso, unico al mondo.

Finché oggi non arriva la sfiducia che mette la Santarella in posizione molto complicata. Riassumendo: è stata prima regolarmente votata una candidata, poi contro la candidata votata è partita una macchina del fango in stile Prima Repubblica con l’obiettivo di farla espellere (e accuse di conflitto d’interesse che non stanno in piedi, specialmente dopo le dimissioni), una volta fallito l’obiettivo si è tentata la strada della seconda lista che adesso viene in teoria sbarrata dalla sfiducia e dalla richiesta di ritiro del simbolo. In attesa di sapere cosa deciderà lo staff, a finire penalizzata è sicuramente una candidata laureata e dirigente d’azienda che aveva tutte le carte in regola per presentare una candidatura credibile in città. Il tafazzismo impera ovunque.

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