La contaminazione da PFAS in Veneto e i limiti ballerini delle istituzioni

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-09-07

PFOS, PFOA e PFAS, sostanze contaminanti classificate come cancerogene di tipo 2b sono le protagoniste di una contaminazione ambientale che in Veneto coinvolge 250 mila persone. Dopo tre anni il Ministero ha fissato dei limiti ma qualcosa non torna perché non sono in linea con il parere dell’Istituto Superiore di Sanità

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Il Governo ha finalmente preso in mano la questione della contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche colmando il vuoto legislativo in materia. Il decreto del Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha infatti fissato un limite per la presenza di  PFAS, acido perfluoroottanoico (PFOA) e perfluorottano sulfonato (PFOS) nell’ambiente. Le ultime due sono sostanze che venivano utilizzata nell’industria chimica ad esempio per la produzione del teflon. La questione è particolarmente sentita in Veneto, dove dal 2013 diverse analisi hanno rilevato l’esistenza di una contaminazione delle falde acquifere che coinvolge un territorio abitato da duecentocinquantamila persone.

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L’area interessata dall’inquinamento dovuto ai Pfas (fonte: Arpa.veneto.it)

La causa della contaminazione ambientale

Della scoperta dell’inquinamento del sistema delle falde acquifere che coinvolge 31 comuni (poi ridotti a 29 dopo l’esclusione di Trissino e Montebello) nelle province di Vicenza, Padova e Verona dovuto allo sversamento trentennale (“consentito” perché non c’erano e non ci sono limiti di legge sugli scarichi) di sostanze inquinanti da parte dell’azienda Miteni di Trissino avevamo parlato qui, quando dopo un’interrogazione al Consiglio Regionale fatta dal consigliere PD Andrea Zanoni le autorità sanitarie regionali furono spinte a fare maggiore chiarezza sulla contaminazione delle acque potabili dovuta a PFAS e PFOA, sostanze chimiche con caratteristiche persistenti, bioaccumulabili e tossiche classificate come cancerogene di livello 2b (quindi si tratta di sostanze “possibilmente carcinogene“) che inoltre alterano il normale funzionamento del sistema endocrino (per questo vengono chiamati anche interferenti endocrini) e quindi interferiscono con la regolazione della produzione di ormoni e il normale funzionamento del sistema ormonale. A dire il vero alle autorità di controllo regionali la questione dell’inquinamento era nota da tempo; nel 2013 l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale (ARPAV) aveva pubblicato un’indagine compiuta in seguito di una comunicazione da parte del Ministero dell’Ambiente sullo stato dell’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche nelle provincie di Vicenza, Padova e Verona individuando la sorgente della contaminazione in corrispondenza dell’area di pertinenza dello stabilimento chimico Miteni Spa di Trissino dalla quale tramite il torrente Agno si propaga il flusso di contaminazione in falda. Le analisi del 2013 avevano dimostrato che il flusso di propagazione in falda si sviluppa dal comune di Trissino (nel vicentino) per poi aprirsi in due (una verso est e una verso sud) in prossimità di Montecchio. La propagazione pare essere avvenuta sia tramite i corsi d’acqua superficiali che quelle sotterranei. Sono decenni che le sostanze inquinanti, utilizzate per trattare prodotti in Goretex e Teflon, potrebbero essere finite nel ciclo alimentare umano: una volta contaminate le falde acquifere i PFAs possono entrare nella catena alimentare e per questo sono stati analizzati numerosi alimenti destinati al consumo umano sia di origine animale che vegetale. Le dimensioni del fenomeno di contaminazione avevano spinto l’ARPAV a parlare di valenza europea, stiamo parlando di un’area di estensione superiore ai 150 km² che interessa circa 350 mila persone. Il problema non riguarda la rete idrica pubblica ma i pozzi privati dai quali viene attinta l’acqua per l’uso domestico e l’irrigazione dei campi. Le analisi del sangue effettuate su un campione di 507 cittadini, 257 residenti nei comuni all’interno dell’area esposta alla contaminazione definiti “ad esposizione incrementale” (Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarago) e 250 abitanti di altrettanti comuni veneti di un’area definita “di controllo” (Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana, Treviso) hanno confermato che per nove delle sostanze analizzate (PFBA, PFPeA, PFBS, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFOA, PFOS e PFDoA) le concentrazioni de l siero dei residenti in sei Comuni a esposizione incrementale sono risultate significativamente superiori(p<0.05) a quelle dei residenti dei comuni dell’area di controllo. Ma a preoccupare maggiormente è il fatto che nel sangue dei soggetti residenti nella fascia esposta siano state rilevate concentrazioni di PFOA mediamente dieci volte superiori a quelli dei cittadini della zona di controllo.
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Il limite deciso dal Ministero

Fino a oggi però non era stato fissato un limite di contaminazione ambientale, per questo motivo alla Miteni Spa non è imputabile una responsabilità penale per il superamento dei limiti di PFOS e PFOA  in quanto si sono svolti “a norma”, ovvero secondo le norme vigenti in materia all’epoca (non esistono invece limiti normativi per le PFAS). La questione però ha portato alla luce la necessità per il nostro paese di dotarsi di un regolamento in materia di contaminazione ambientale da sostanze perfluoroalchiliche, visto anche il parere dell’EFSA che fissava, a titolo precauzionale ma ritenendo “improbabile che il PFOS e il PFOA possano avere effetti negativi sulla salute della popolazione in generale in Europa poiché l’esposizione dietetica a queste due sostanze chimiche è inferiore alle rispettive TDI”, la dose giornaliera massima di assunzione (TDI) per il  PFOS a 150 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno mentre per il PFOA, una TDI pari a 1,5 microgrammi (1.500 nanogrammi) per chilogrammo di peso corporeo al giorno. In una nota inviata alla Regione Veneto l’Istituto Superiore di Sanità ha proposto di “applicare agli scarichi nei corpi idrici, limiti non dissimili ai livelli di performance (obiettivo) già indicati per le acque trattate destinate al consumo umano. Nello specifico: PFOS ≤ 0,03 µg/L, PFOA ≤ 0,5 µg/L, PFBA ≤ 0,5 µg/L e altri PFAS ≤ 0,5 µg/L“, indicazioni che sono state inserite nel decreto della Regione Veneto in materia.
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I limiti fissati dal Ministero

Il Ministero dell’Ambiente ha recepito le istruzioni dell’ISS per quanto e ha fissato un limite massimo per la presenza del contaminante nelle acque potabili (quindi non negli alimenti ma nelle acque che vengono utilizzate per l’irrigazione e l’allevamento) stando a quanto riferisce il Fatto Quotidiano, pari 6 mila ng/l per le acque di falda (il limite di PFOA+PFOS delle acque in uscita dallo scarico del depuratore nella zona contaminata in precedenza era fissato a 15.000 ng/L), mentre in questo caso l’ISS aveva fissato la soglia a 500 nanogrammi per litro. C’è però da rilevare che la problematica principale è dovuta alle sostanze perfluoro alchiliche a catena lunga (ovvero PFOS e PFOA) che non sono sono più utilizzate mentre quelle a catena corta (gli PFAS appunto) risultano meno persistenti e costituirebbero un minore rischio per la salute umana. I valori limite per gli altri PFAS invece non sono in linea con le indicazioni dell’ISS perché non vengono indicati (ma su questo possono intervenire le Regioni). Per quanto riguarda invece il limite fissato dal Ministero su PFOS e PFOA più che semplicemente una beffa per la salute dei cittadini (PFOS e PFOA non vengono più prodotti) potrebbe invece essere utilizzato per avviare o meno un’eventuale operazione di bonifica della zona contaminata. Se è vero che negli anni la presenza di contaminanti è andata calando (del resto è cessata la produzione) rimane ancora da decidere come fare per risolvere la situazione attuale e non è affatto scontato che i nuovi limiti possano servire per dire dove intervenire con una bonifica ambientale e dove invece la situazione è considerata a norma.
 
 

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