Il favore del governo Renzi ai giornali

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-01-02

Non solo equo compenso. L’esecutivo dimostra di essere attento alle necessità degli editori rimandando per l’ennesima volta la normativa per pubblicizzare i bandi di gara e la pubblicità legale solo on line. Permettendo così alle società editrici di continuare a incassare 120 milioni di euro l’anno

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Non solo polemiche sull’equo compenso. Il governo Renzi dimostra di essere attento alle necessità degli editori di giornali rimandando per l’ennesima volta la normativa per pubblicizzare i bandi di gara e la pubblicità legale solo on line, permettendo così alle società editrici di continuare a incassare 120 milioni di euro l’anno. La storia ha un antefatto del 2009: all’epoca la Consob, nel recepire la direttiva europea “Transparency”, aveva deciso che gli avvisi societari – ad esempio convocazioni di assemblee, prospetti informativi, pubblicità di documenti contabili e la quotazione dei fondi comuni – dovessero avere Internet come mezzo di diffusione principale. Ogni documento per il quale sussisteva l’ obbligo di pubblicazione sulla carta stampata avrebbe avuto tempi di “migrazione” sulla rete diversi. La decisione avrebbe avuto un preciso risvolto economico: avrebbe significato la fine della pubblicazione sulla cosiddetta stampa specializzata (Il Sole 24 Ore, Milano Finanza, ma anche tutti gli altri quotidiani) di questi avvisi, con conseguente perdita degli introiti che a questa stampa derivavano.

Il favore del governo Renzi ai giornali

Un sussidio bello e buono ai giornali che passava sotto forma di obbligo di informazione, assolutamente inutile tra l’altro: qualcuno di voi ha mai sottoscritto un aumento di capitale perché convinto dalla lettura del prospetto informativo pubblicato sul Sole? Qualcuno di voi è stato per caso avvertito dell’imminente assemblea di Telecom dalle pubblicità su MF, e non dagli articoli di giornale che la preannunciavano o dalla sua (eventualmente) buona memoria? Non appena il pericolo che il regolamento venisse posto in attuazione è diventato serio, è cominciata la pressione della Federazione italiana degli editori di giornali (Fieg), la quale ha messo in atto una serie di tentativi per ritardarne l’attuazione. Con motivazioni che sfioravano il ridicolo: “Internet non è appannaggio di tutta la popolazione, visto che solo il 40 per cento degli italiani possiede una connessione”, facevano sapere gli editori. I quali, però, si dimenticavano di ricordare che secondo i loro stessi dati a leggere un quotidiano in Italia è solo il 9 per cento della stessa popolazione. L’Assonime (la rappresentante delle società quotate) svolge il suo lavoro di contro-lobbying e il provvedimento passa, ma a quel punto l’allora presidente di Consob Lamberto Cardia si dimette in polemica con la decisione dei suoi commissari. A quel punto il governo  respinge le dimissioni e subito dopo vara un decreto apposito per ripristinare l’obbligo. Poi arriva il governo Renzi, che nel 2014  annuncia il decreto sugli 80 euro di bonus Irpef e i relativi tagli di spesa per finanziarlo: una slide dice che i bandi di gara dal 2015 sarebbero stati pubblicizzati solo online – e non più con (l’obbli gatoria) “pubblicità legale” sui giornali di carta. Ma, racconta oggi Marco Palombi sul Fatto, cosa vuoi che sia una slide?

GLI EDITORI, comunque, non la presero bene: 120 milioni di incasso non sono pochi, specialmente in tempo di crisi, specialmente se si è un grande gruppo editoriale – come ad esempio il Gruppo Espresso – che ha un sacco di quotidiani locali che drenano i bandi di enti locali e regioni. Le pressioni su Palazzo Chigi e Parlamento si sprecarono e così si arriva alla scena due. Giugno 2014: arriva l’emendamento con cui tutto viene rinviato al 1° gennaio 2016.
E siamo alla scena tre.Giugno 2015. Un emendamentino firmato dai relatori in Senato (uno del Pd e uno di Forza Italia) al nuovo codice degli appalti cerca di cancellare l’obbligo di pubblicizzare i bandi di gara solo online: prima viene approvato, poi – e siamo a ottobre2015– bocciato. Insomma, gli editori stanno per perdere una torta che nel 2014 gli ha fruttato 120 milioni

Ma a quel punto per fortuna arriva il regalone del governo:

La scena quattro è l’ultima. Siamo al 30 dicembre 2015 e in Gazzetta Ufficiale arriva il solito decreto Milleproroghe. Tra le altre mille, come il lettore avrà già capito,c’è anche la proroga per il passaggio della “pubblicità legale” online: gli editori, per tutto il 2016, continueranno a incassare. Non solo: viene pure prorogato di un anno l’obbligo di passaggio al sistema di tracciabilità digitale di vendite e rese dei giornali (e pure il relativo credito d’imposta).
Il cartaceo sarà anche in crisi, ma il premier – e il fido Luca Lotti, che gestisce i rapporti con gli editori – non vogliono guastare le relazioni con l’ingegner De Benedetti o la famiglia Agnelli (La Stampa e Corriere della Sera, con relative edizioni locali). Prorogato di un anno pure il divieto di incroci stampa quotidiana-tv: in sostanza, Silvio Berlusconi e Urbano Cairo non possono avere un giornale.

E anche quest’anno gli editori l’hanno sfangata. Vediamo il prossimo.

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