Perché il Direttorio del MoVimento 5 Stelle non funziona

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-04-28

Trasparenza e velocità, queste le due parole chiave del Direttorio a Cinque Stelle. Ma guardando cosa sta succedendo a Livorno emerge che la parola d’ordine sia una sola: rimandare

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Il Movimento 5 Stelle è quel partito che spesso e volentieri viene criticato per le sue procedure d’espulsione. Come è stato ribadito da più parti ogni partito ha il diritto di darsi delle regole sulle modalità con cui espellere i propri iscritti, regole che generalmente sono volutamente poco chiare per poter lasciare un certo margine di discrezionalità agli organi competenti. All’interno del Movimento questo compito spetta al Direttorio, il collegio dei garanti che è composto da Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. È il Direttorio che ha il compito di risolvere le questioni interne, soprattutto quelle che più potrebbero danneggiare l’immagine del partito.
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L’imbarazzo alla livornese

Dopo il caso Quarto, conclusosi malamente con l’espulsione prima del consigliere Giovanni De Robbio e poi della Sindaco Rosa Capuozzo (che alla fine si è dimessa), Di Battista aveva detto che il Direttorio si sarebbe dovuto muovere più rapidamente per evitare che la situazione esplodesse in tutta la sua drammaticità. Non c’è dubbio infatti che alcuni componenti dell’organo del partito (Di Maio e lo stesso Fico) abbiano tenuto nella vicenda – e soprattutto nei confronti della Capuozzo – un atteggiamento ambiguo e poco chiaro. Al contrario di altri partiti politici però al Movimento 5 Stelle questa ambiguità non è concessa, perché si sono sempre accreditati presso l’opinione pubblica come il partito degli onesti, quelli sempre pronti a chiedere dal primo minuto le dimissioni degli esponenti dei partiti altrui. Ma più gli eletti del M5S si “sporcano le mani” nell’amministrazione della cosa pubblica più questa narrativa dei duri e puri inizia a mostrare le prime crepe. Se pensavamo che i Cinque Stelle avessero imparato qualcosa dal caso di Quarto è bastato solo che esplodesse la vicenda Tempa Rossa per far dimenticare ai pentastellati la “lezione” campana. Nel merito della vicenda dell’inchiesta Total Di Maio&co. poche ore dopo la pubblicazione delle intercettazioni erano già in Basilicata a chiedere le dimissioni della Ministro Guidi (che non era nemmeno indagata). Ed infatti quando è arrivato l’avviso di garanzia all’assessore al bilancio di Livorno Gianni Lemmetti il Movimento e il Direttorio hanno preso tempo dicendo che dovevano studiare le carte prima di procedere con l’espulsione. Il Movimento si scopriva improvvisamente garantista e gli esponenti del PD non hanno certo perso l’occasione per criticare e ironizzare sul doppio standard del M5S. Del resto anche in un intervento di Filippo Nogarin ospitato sul Blog di Grillo viene ribadito che “prima di emettere sentenze bisogna conoscere per bene le accuse che vengono mosse al nostro assessore“.

Le critiche degli ex

Critiche sono arrivate anche da alcuni ex-consiglieri del M5S livornese espulsi nei mesi scorsi dal partito perché non abbastanza fedeli alla linea del Direttorio. Durante la seduta del consiglio comunale di martedì 26 aprile Marco Valiani (espulso dopo le elezioni) ha contestato in aula la giunta chiedendo le dimissioni di Lemmetti e della giunta. Il gesto di Valiani, che ha provocato la sospensione temporanea della seduta e il suo allontanamento dall’Aula, è stato imitato anche da Giuseppe Grillotti, Alessandro Mazzacca e Sandra Pecoretti i tre consiglieri espulsi dopo il voto sul concordato Aamps che hanno mostrato dei cartelli con scritto “onestà”. Certamente la contestazione degli ex era prevedibile, in fondo c’è anche una certa schadenfreude degli epurati nel vedere che chi li ha sbattuti fuori (per una questione di principio) non è così puro come voleva far credere. Stupisce invece il silenzio del Direttorio, che ieri era salito a Milano a trovare il “tecnico informatico” del partito in quello che è stato il primo incontro dei massimi esponenti a Cinque Stelle con Davide Casaleggio. Giusto ieri Carlo Sibilia ricordava su Facebook queste parole di Paolo Borsellino: “Un politico non condannato dalla magistratura, non vuol dire che sia onesto. La vicinanza tra ‪#‎politici‬ e ‪#‎mafiosi‬ non sempre costituisce reato ma rende il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica“. Stava ovviamente riferendosi alla vicenda giudiziaria di Stefano Graziano che sta travolgendo il PD campano ma è davvero difficile non tornare a notare il sistema di due pesi e due misure adottato dal partito di Grillo e Casaleggio (Jr.).
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Nessuno ascolta Pizzarotti?

Verrebbe quasi da chiedersi se davvero il Direttorio sia un organo funzionante e non uno specchietto per le allodole per far credere che il partito non sia retto da due sole persone. Già quando venne istituito il comitato d’appello contro le espulsioni su Nextquotidiano facemmo notare come non ci fosse modo di evitare davvero di essere cacciati dal partito, visto che i membri del direttivo erano stati nominati dalla stessa persona che procedeva con la prima istanza di espulsione. I ritardi e i rinvii delle decisioni del Direttorio rischiano invece di diventare la vera cifra stilistica dell’azione politica della banda dei cinque. Non ci sono solo Livorno e Quarto, c’è anche il caso di Mauro Nuzzo a Parma, espulso dalla maggioranza ma ancora in attesa della decisione del Direttorio, chiamato questa volta in causa dal sindaco Federico Pizzarotti che in un post su Facebook aveva invocato l’intervento dei garanti:

Quello che chiedo ai vertici del M5S, a partire dal direttorio, è una presa di posizione. A Livorno tre consiglieri sono stati espulsi per un solo voto contrario ai colleghi del gruppo. Questo consigliere, come detto, lo ha fatto per il 75% delle volte. Prendere provvedimenti ritengo sia un atto dovuto nei confronti di tutti i cittadini che hanno votato per il M5S e dei colleghi consiglieri di maggioranza. Uno dei principi alla base del M5S è che la maggioranza decide. Ecco, noi abbiamo sempre deciso insieme nella riunione di maggioranza, alla quale il consigliere non si presenta più da oltre 2 anni. Il consigliere espulso si è fatto sostenere da un “meetup”, composto da pochi fuoriusciti dal gruppo storico di Parma e i cui obiettivi non sono mai stati chiari, che sta utilizzando il logo del Movimento senza averne titolo, creando un notevole danno di immagine.

Più in generale la richiesta che viene fatta al Direttorio è quella di occuparsi rapidamente di tutti i casi di espulsione soprattutto dei più delicati dal punto di vista politico, quantomeno con la stessa rapidità con la quale i membri del collegio emettono sentenze quando si tratta di giudicare l’operato degli esponenti degli altri partiti. La strategia adottata fin’ora sembra invece essere quella di continuare a rimandare la decisione e rimandarla ancora, per evitare di creare un precedente pericoloso. Espellere subito Lemmetti significa dire che l’avviso di garanzia costituisce di per sé una motivazione sufficiente per l’abbandono di una carica pubblica (che è la linea tenuta ufficiosamente fino ad ora, quando gli avvisi arrivavano agli altri). Temporeggiare, leggere le carte (e quindi dare un giudizio basato su una visione parziale dei fatti) significa che il Direttorio deciderà caso per caso cosa fare. C’è però, in questa seconda opzione, il rischio di mostrarsi subalterni alla posizione di Renzi che – soprattutto negli ultimi tempi – in nome del garantismo è riuscito a spostare il dibattito pubblico dall’operato del Governo a quello della Magistratura. Probabilmente il Direttorio sta valutando la strategia generale del partito e ha poco interesse – per ora – nell’occuparsi dei casi particolari, che continueranno ad essere una spina nel fianco.

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