I noeuro, i proeuro e il teorema del litro di latte

di Guido Iodice

Pubblicato il 2015-11-03

Uno degli argomenti preferiti del Partito Eterogeneo No Euro è quello che potremmo definire il “teorema del pacco di latte”. Ovvero la merce che i noeuro italici hanno elevato al rango di indicatore universale del disallineamento dei prezzi all’interno dell’Eurozona, causa prima dello squilibrio nella bilancia dei pagamenti e della crisi dell’euro. Ma è davvero così?

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Uno degli argomenti preferiti del Partito Eterogeneo No Euro – Sezione Italiana, è quello che potremmo definire il “teorema del pacco di latte”. Così come il prezzo del Big Mac è diventato l’indice dei prezzi internazionale, così il litro di latte è la merce che i noeuro italici hanno elevato al rango di indicatore universale del disallineamento dei prezzi all’interno dell’Eurozona, causa prima dello squilibrio nella bilancia dei pagamenti e della crisi dell’euro. Per enunciare il teorema si parte da una fotografia:

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fonte: @Rinaldi_euro su Twitter

La domanda è: perché il latte austriaco (o tedesco) costa meno?

È colpa dell’euro?

Si passa quindi all’ipotesi enunciata a più riprese, ma con il medesimo contenuto, dai più valenti esponenti noeuro del nostro paese. Il prezzo del latte, si sa, è ciò che ti fa acquistare il latte tedesco:

E acquistare il latte tedesco è da euristi, oltre che da stupidi:

Ma soprattutto comprare latte tedesco fa tanto male alle nostre imprese, per cui il noeuro declama il suo grido di battaglia: “un popolo, un latte”

E se per caso provi a cercare di sollevare la domanda interna senza uscire dall’euro, stai (consapevolmente o meno) collaborando al dominio del Reich lattiero-caseario tedesco:


Insomma, il problema è il prezzo del litro di latte. La soluzione, non c’è bisogno di dirlo, è uscire dall’euro e svalutare:

Se per caso non conoscete la risposta, eccola:


 

E i fatti…

Ma le cose sono davvero così semplici? Basta uscire dall’euro per risolvere i problemi del settore lattiero-caseario nazionale e magari degli altri? E’ davvero l’euro che ci penalizza? A fare chiarezza sull’argomento ci pensa il Corriere della Sera. Partiamo da questo grafico che mette a confronto l’import/export di latte nel 2011 (con l’euro) e nel 1981 (con la lira):
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Come si vede, la situazione non è molto cambiata: nel 1981 importavamo tantissimo latte e ne esportavamo pochissimo, come oggi. Anzi, ad essere rigorosi, da allora l’export è cresciuto, in proporzione, più dell’import. Nel nostro import di latte, la Germania la fa in effetti da padrona, spiega il Corriere:

Tra i clienti principali [della Germania] c’è l’Italia che è il primo importatore di latte al mondo e deve acquistare circa il 40% del suo fabbisogno all’estero . Nel 2014 le industrie di trasformazione e le catene di distribuzione hanno comprato un milione e 144 mila tonnellate di latte sfuso oltre frontiera: 404 mila tonnellate, cioè il 35% del totale, sono arrivate dalla Germania. Ancora più alta la quota nel segmento dei formaggi e dei latticini: 263 mila tonnellate made in Germany, il 51% sul totale di 510 mila tonnellate dell’import.(dati Clal.it).

Ma la colpa non è dell’euro, infatti:

L’anno chiave è il 1984, quando la Comunità europea decise di risolvere il cronico problema della sovrapproduzione di latte adottando la stessa formula utilizzata per l’acciaio: a ogni Paese viene assegnata una quota e chi la supera deve pagare una multa […] Allora come oggi le stalle italiane fornivano la metà del fabbisogno nazionale. Allora come oggi le eccedenze rispetto ai consumi interni si accumulavano altrove: Olanda, Francia, Danimarca e, naturalmente, Germania.

Il problema, semmai, è un altro:

Pandolfi [ministro dell’agricoltura nel 1984] accettò che la nostra quota di produzione fosse pietrificata al livello raggiunto nel 1983: 9 milioni di tonnellate all’anno. Dal punto di vista puramente settoriale quell’impegno risultò già all’epoca un’insensata camicia di forza, tanto è vero che negli anni successivi, come si vede nei grafici, gli allevatori italiani furono costretti persino a buttare via il latte per non essere sanzionati.

E, per essere chiari, la penalizzazione del settore lattiero fu una scelta politica a favore di quello vinicolo, che compensa l’import di quello lattiero:

Ma allora perché il governo di Roma accettò? Il sacrificio sulle stalle fu compensato da vantaggi ottenuti su altre voci agricole, a cominciare dal vino per finire con gli agrumi: comparti nei quali l’Italia aveva accumulato ingenti surplus di prodotto. A trent’anni di distanza continuiamo a comprare latte sfuso dalla Germania per una spesa pari a circa 1,1 miliardi di euro, ma i tedeschi acquistano il 20% del nostro export di vini, per un controvalore analogo, vicino al miliardo di euro.

Insomma, l’euro non c’entra nulla, c’entra il mercato unico, che come giustamente (per una volta) rileva Borghi, è fatto un po’ alla cazzo di cane:

Le quote latte sono state abolite dal 1° aprile 2015. E questo significa che siccome adesso chiunque può produrre quanto vuole senza dover pagare dazio, non esiste più per nessuno, neanche gli italiani, il protezionismo agricolo che le quote latte hanno assicurato. Che l’Italia sia pronta a questo è tutto da dimostrare. Ad onor del vero, c’è un noeuro che si è avvicinato alla risposta giusta, intuendo che il problema erano le quote (del resto anche l’orologio rotto segna l’ora giusta due volte al dì):
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Noeuro ma promercato unico

A questo punto dell’articolo, il fan noeuro si inalbera. Già lo vediamo mentre digita inviperito sulla tastiera: “Ma è sempre colpa dell’Europa!”. Come dicevamo prima, se le quote ci abbiano davvero danneggiato lo scopriremo nei prossimi anni. In ogni caso, in economia non si dà euro=Unione Europea. Se si indica una causa (l’euro) poi non si può sostenere, di fronte a dati che smentiscono l’ipotesi, che si ha comunque ragione perché è colpa di altre istituzioni dell’Unione Europea. Nel 1984 l’euro neppure esisteva. E anche se non fossimo entrati nell’euro, o se l’euro non fosse mai nato, avremmo dovuto comunque rispettare le quote latte.
Ne consegue inoltre che se si esce dall’euro e si rimane nel mercato comune, non cambia nulla, né nel bene (eliminazione dei dazi) né nel male (quote agricole). Ed ecco che il noeuro sbrocca: “Ma noi vogliamo uscire pure dall’UE!!1!1”. Sicuri sicuri? Basta leggere il “Manifesto di solidarietà europea” firmato, tra gli altri, dagli economisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi:

La creazione dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo si colloca fra le maggiori conquiste dell’Europa post-bellica in campo politico ed economico.

e ancora:

L’euro, invece di rafforzare l’Europa, produce divisioni e tensioni che minano le fondamenta stesse dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo.

Persino un euroscettico come Nigel Farage, pur volendo uscire dall’UE, pretende di voler rimanere nel mercato unico.
 

Se il noeuro piange, il proeuro non ride

Sembra che il latte abbia la caratteristica di non far ragionare la gente. Appena si parla di latte, la logica va a farsi benedire. Non sono solo i noeuro a cascarci, sia chiaro:

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fonte: @borghi_claudio su Twitter

Sostenere che un litro di latte passerebbe da 1,70 euro a 5000 lire è privo di senso. Va da sé infatti che una svalutazione non si ripercuote al 100% sui prezzi interni. Ci sono mille motivi che sconsigliano l’uscita unilaterale dalla moneta unica, ma sciocchezze di questo genere rischiano di far sembrare i noeuro dei geni di fronte ai sostenitori della moneta unica.
 
 
 
 
 

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