Melito e la cultura dello stupro

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-09-13

La madre della ragazzina violentata per quasi tre anni a Melito sapeva delle violenze subite dalla figlia e sapeva che tra gli stupratori c’era il figlio del boss Remigio Iamonte ma non ha mai denunciato nulla per paura di danneggiare la reputazione della famiglia

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Stuprata per quasi tre anni, dall’età di 13 anni fino ai sedici anni ma per molti dei suoi concittadini a Melito di Porto Salvo (Reggio Calabria) “se l’è solo andata a cercare”. E tra i suoi concittadini si nascondevano anche gli stupratori, dieci ragazzi, tutte persone del posto, alcune con parentele importanti. Otto di questi ragazzi, tra loro anche un minorenne, sono stati arrestati ieri con l’accusa di stupro. Ma la  vicenda è resa ancora più drammatica dal fatto che la madre della ragazzina fosse a conoscenza delle ripetute violenze subite dalla figlia.

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In alto da sinistra, in senso orario Giovanni Iamonte (30 anni), Michele Nucera (22), Davide Schimizzi (22), Lorenzo Tripodi (21), Pasquale Principato (22), Daniele Benedetto (21), Antonio Verduci (22)

Il figlio del boss, il fratello del poliziotto e il figlio del maresciallo dell’Esercito

Gli arrestati sono Giovanni Iamonte (30 anni) figlio del boss Remigio Iamonte e nipote di Natale definito «rampollo di un esponente di spicco della locale cosca della ’ndrangheta, soggetto notoriamente violento e spregiudicato», Michele Nucera (22), l’ex fidanzato della vittima Davide Schimizzi (22) fratello di un poliziotto dal quale ha ricevuto anche consigli su come comportarsi in caso di interrogatorio. In un’intercettazione effettuata durante le indagini il fratello di Schimizzi gli consiglia di stare zitto «Quando ti chiamano, tu vai e dici: non ricordo nulla! Non devi dire niente! Nooooo. Davide, non fare lo ”stortu”. Non devi parlare. Dici: guardate, la verità, non mi ricordo. E come fai a non ricordare? Devi dire: sono stato con tante ragazze, non mi ricordo!». Gli altri arrestati sono Lorenzo Tripodi (21), Pasquale Principato (22), Daniele Benedetto (21) e Antonio Verduci (22) figlio di un maresciallo dell’Esercito. Sarebbe stato Schimizzi, secondo il racconto della vittima, a costringerla ad avere rapporti sessuali con gli altri indagati ricordandole, quando lei mostrava di non accondiscendere di buon grado ai desideri del gruppo di violentatori, quanto sarebbe stato facile diffondere foto e video compromettenti (per il cui possesso alcuni degli arrestati sono accusati anche di detenzione di materiale pedopornografico) che le avrebbero rovinato la vita e la reputazione per sempre. Violenze fisiche, psicologiche e l’abuso che diventa “normale”, scontato, parte del rapporto con Schimizzi il quale per San Valentino (14 febbraio 2014) l’avrebbe “regalata” a Giovanni Iamonte. Incontri organizzati nelle abitazioni nella disponibilità di Iamonte (che risulterebbe essere anche un parente della ragazzina dal momento che il padre è cugino del boss) dove a turno gli altri indagati hanno abusato della vittima. Ricatti, paura e soprattutto un profondo senso di rassegnazione e di impotenza, questo è quello che emerge dai verbali delle dichiarazioni rese dalla minorenne.

La madre sapeva ma temeva per la reputazione della famiglia

Rassegnazione dovuta anche al fatto che la madre della ragazzina, benché a conoscenza delle violenze subite dalla figlia (e pure dell’identità di alcuni dei violentatori) avesse scelto di tacere e non denunciare gli stupri alle forze dell’ordine. Agli inquirenti la madre (che ha lavorato alle dipendenze di Remigio Iamonte) ha spiegato che «Le rivelazioni dei fatti avrebbero provocato discredito della famiglia e forse saremmo dovuti andare ad abitare in un altro paese». La madre sapeva che la figlia era diventata uno dei giocattoli del rampollo del boss, ma l’unica preoccupazione era che la cosa non si sapesse in giro; in un’intercettazione telefonica dice: «Loro si vogliono prendere i meriti di andare con le sirene, come al solito per prendersi i meriti sulla pelle degli altri? Quanto meno devono avvisare, o no? Sulla pelle nostra, perché i problemi ce li abbiamo noi, non loro… tanto non cambierà niente, perché loro hanno i soldi e non paga nessuno, stai tranquillo, sai chi pagherà? Quelli che hanno meno soldi. E quelli che ce li hanno non pagheranno». In più di un’occasione la madre si è rifiutata di sporgere querela e si è dimostrata reticente rispetto alle domande poste dai Carabinieri che, allertati da alcune telefonate anonime riguardo una ragazzina che subiva violenze sessuali, erano riusciti a risalire all’identità della vittima. In un tema la vittima aveva espresso la sua rabbia nei confronti di quei genitori che non volevano aiutarla, che non si rendevano conto di quello che le stava accadendo (non mangiava quasi più). Questa situazione familiare spiega anche l’omertà e la mancanza di solidarietà di Melito il giorno della fiaccolata di solidarietà, pochi i presenti e dichiarazioni choc di alcune donne come quella signora che ai microfoni del TgR ha detto «Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare». Non è solo un tentativo di proteggere i potenti ma anche il sintomo della condizione delle donne, troppo spesso costrette a subire violenze e soprattutto a considerarle qualcosa di “giusto”. Ma mentre la madre non ha mai trovato la forza per liberare la figlia dalla spirale di violenza e sopraffazione il padre invece è riuscito ad andare dai Carabinieri a raccontare quello che la figlia li aveva raccontato e a trovare finalmente la forza per denunciare gli aguzzini della ragazzina.

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