I due attentati dimenticati nella strage di Parigi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-01-13

La polizia cerca fino a sei complici. E collega altri due fatti di sangue alla strage di Charlie Hebdo e a quella di Porte des Vincennes. Si cerca un’automobile intestata ad Hayat Boumeddiene. Il mistero delle inquadrature nel video di rivendicazione

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Sei complici per Said e Chérif Kouachi e Amedy Coulibaly. E due attentati sventati probabilmente riconducibili alla stessa banda, se non allo stesso commando che ha colpito Charlie Hebdo e il supermercato kosher di Porte de Vincennes. Le indagini della polizia francese sui terroristi di Parigi portano elementi nuovi su strategia e modus operandi della banda che ha colpito il paese, che potrebbero anche inquadrare l’accaduto all’interno di una strategia più complessa e ancora in atto.
 
I DUE ATTENTATI DIMENTICATI DELLA STRAGE DI PARIGI
Le indagini sono arrivate a stabilire un collegamento con altri due attentati accaduti negli ultimi giorni a Parigi. Il primo ha avuto luogo mercoledì 20 dicembre al parco di Fontenayaux-Roses: a un uomo che faceva jogging hanno sparato con una pistola automatica, e le pallottole utilizzate sono compatibili con un’arma ritrovata addosso a Coulibaly dopo la strage di Porte des Vincennes, ovvero una semiautomatica Tokarev. Racconta oggi Repubblica: «L’uomo, prima di entrare in coma,è riuscito a fornire una descrizione dell’assalitore che non corrisponde al profilo di Coulibaly (anche se sul punto gli inquirenti sono scettici, era sera e l’uomo era terrorizzato). Questo farebbe pensare a un altro terrorista ancora in giro. Lo stesso che ha postato il video?». L’altro attentato che finora non era stato correlato con sicurezza agli altri di cui sono stati protagonisti i due fratelli Kouachi e Coulibaly è l’esplosione di un’autobomba a Villeujeuf, nella periferia sud di Parigi, dopo la sparatoria di Montrouge di giovedì. L’esplosione non ha fatto vittime ma nel video di rivendicazione è lo stesso Coulibaly a parlare a un certo punto di un’auto fatta esplodere a Parigi. Il riferimento è lampante. Per questo, dicono gli inquirenti, è partita la caccia ai complici dei terroristi:

Considerando, dunque, questi altri due attentati, il numero degli “eventi” terroristici della tre giorni parigina, sale a sei. Difficile, molto difficile pensare che una simile capacità di fuoco non abbia ricevuto un concreto supporto esterno. E non è un caso che ogni nuovo elemento che compare sulla scena porti le tracce di una collaborazione. Ieri la televisione turca ha trasmesso il video dell’arrivo all’aeroporto di Istanbul di Hayat Boumeddiene, la compagna di Coulibaly a cui sarebbe intestata la Minicooper del ricercato, scappata dalla Francia il 2 gennaio,alla vigilia degli attacchi, e arrivata in Siria l’8 gennaio passando per la rotta dei foreign fighters Madrid-Istanbul. Nelle immagini, la donna è accompagnata da un ragazzo, di cui si vede il volto, che i servizi francesi identificano con Belhoucine Sabri, francese, 23anni, le cui frequentazioni erano note agli inquirenti.

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La fuga di Hayat Boumeddiene (Corriere della Sera, 13 gennaio 2015)

E quindi i conti sono presto fatti:

Insomma, oltre ai due fratelli Kouachi e a Coulibaly, cioè il gruppo di fuoco, almeno altre tre persone sapevano quello che stava per succedere: Hayat, il suo accompagnatore misterioso, e la persona che ha poi postato il video su Dailymotion, nel quale – a conferma che si tratta di un’altra mano – si vede un’inquadratura della facciata dell’Hyper Casher di Porte Vincennes. «Non ci aspettiamo molte più persone di così – spiega un inquirente -. Sappiamo che dallo Yemen sono arrivate direttiveprecise di comporre cellule minuscole.Più sono piccole più facilmentesfuggono alle indagini.

C’è un ultimo elemento da considerare. Sia i fratelli Kouachi che Coulibaly portavano dietro di sé telecamere di tipo go-pro per registrare quello che stavano facendo. Non stupisce, visto che la pubblicazione dei video dell’accaduto fa parte del modus operandi dei jihadisti nelle azioni di terrorismo. «Un testimone ha raccontato che durante l’assedio al negozio kasher, Coulibaly estraeva la memoria dalla videocamera, la metteva nel computer e poi si metteva a lavorare le immagini. La memoria è stata sequestrata dalla polizia. E’ ancora integra. Ma nessuno sa se e a chi quelle immagini sono state inviate durante l’assedio».

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La mappa dei legami tra i Kouachi e Coulibaly (fonte: lalibre.be)

LA MINI COOPER DI HAYAT
In questa storia manca anche un’automobile. Ovvero, una Mini Cooper intestata ad Hayat Boumeddiene che non è stata finora ritrovata e secondo gli inquirenti potrebbe essere utilizzata da uno dei complici per viaggiare attraverso il paese in attesa di superare la frontiera o scappare. Il Corriere parla addirittura di sei presunti complici da individuare:

La Polizia afferma che potrebbero esserci altri sei presunti complici in libertà, uno dei quali sarebbe la persona che ha portato Coulibaly davanti alla drogheria kosher guidando la Mini Cooper intestata a Hayat. Si cerca vicino, molto vicino, con i collegamenti internazionali che al momento restano soltanto sullo sfondo, come ipotesi. Ieri la filiale magrebina di Al Qaeda ha nuovamente minacciato la Francia, che subirà «il peggio» fino a quando continuerà a inviare soldati in Africa e i suoi disegnatori a insultare il Corano. Ma la cellula domestica che ha pianificato i massacri di Charlie Hebdo e dell’Hyper Cacher è cresciuta all’ombra dei jihadisti parigini di prima generazione e il fatto che sei delle dieci persone condannate nel 2010 per il tentativo di evasione di Alì Belkacem, uno degli autori degli attentati alla metropolitana del 1995, siano ancora in libertà non è dettaglio da nulla. Il filo che unisce i fratelli Kouachi a Coulibaly è proprio quel progetto. Non è un caso che ieri gli esperti dell’antiterrorismo siano andati al carcere di Rennes per sentire Djamel Beghal, il «fine teologo», parola dei diretti interessati, che tanta influenza avrebbe avuto soprattutto su Coulibaly, all’epoca un novizio, dell’Islam e della jihad.

Tante operazioni e troppi misteri, per un uomo solo, conclude Marco Imarisio.

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