La "scandalosa" scena del sesso orale in The Hateful Eight

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-12-30

Come per ogni film di Quentin Tarantino alla visione della pellicola segue il dibattito su quanto sia violento, misogino e razzista. Accomodatevi e gustatevi la scena (attenzione: SPOILER)

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L’ultimo film di Quentin Tarantino, The Hateful Eight, è stato accolto con favore dal pubblico e anche da gran parte della critica. Chi lo ha visto continua a ripetere che la pellicola è destinata a diventare un classico del cinema e, come ogni film di Tarantino, la summa della visione cinematografica del regista. Visione che, come abbiamo imparato, comprende della sana violenza, il rifiuto di tutto quanto possa essere politically correct e – soprattutto – l’abuso del termine proibito per eccellenza negli USA: negro. Ma per quest’ultimo film c’è un’altro tema da aggiungere al dibattito, quello della violenza sessuale.

Il consueto dibattito su Tarantino razzista

Gawker ha calcolato che in The Hateful Eight la parola nigger viene pronunciata sessantacinque volte. Niente in confronto a Django Unchained, ovviamente, ma quello era un film ambientato in un periodo nel quale i bravi americani del passato avevano ancora la deliziosa abitudine di possedere degli schiavi, come spiegò Samuel L. Jackson in un’intervista «Did they have another name to call the [black] people they were talking about at the time?». Ma non è solo Django il problema, a causa dell’uso troppo disinvolto del termine nei dialoghi Tarantino è stato molto criticato in passato anche da illustri colleghi come ad esempio Spike Lee, che criticò l’uso eccessivo della N-word già al tempo di Pulp Fiction e Jackie Brown e, più recentemente, ha detto che Django è un film irrispettoso nei confronti dei suoi antenati, perché il periodo dello schiavismo è stati un vero e proprio olocausto e non può essere trattato come materia da spaghetti western.


Tarantino si è sempre difeso dicendo che è nel suo diritto di autore di usare qualsiasi parola voglia utilizzare nei suoi dialoghi, e in sua difesa si sono espressi attori afroamericani come Samuel L. Jackson (che ha lavorato anche con Spike Lee) e il regista Antoine Fuqua. Col tempo gli spettatori, soprattutto quelli bianchi, hanno imparato a non scandalizzarsi più di tanto; è una delle cifre stilistiche di Tarantino. Non è necessariamente un bene, perché Tarantino ha spesso dichiarato che fa uso della parola nigger non solo per esigenze narrative o per caratterizzare un personaggio ma anche come espediente per shockare lo spettatore. Negro è una bomba che Tarantino sgancia consapevole dell’effetto dirompente che ha sul pubblico.
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La “scandalosa” scena del pompino a Samuel L. Jackson

Ma a turbare coloro che hanno visto Hateful Eight non è solo il copioso uso della parola negro, ma il fatto che sia un film dove la violenza sessuale, sulle donne e il conseguente abuso di un’altra parola proibita “bitch“, ma anche sugli uomini sia uno dei motori dell’azione. Al centro delle polemiche è  soprattutto una scena che purtroppo sono costretto a spoilerare, vedetela come una forma di violenza. Come sapete il film racconta di otto sconosciuti che si trovano costretti a cercare rifugio in una locanda del Wyoming durante una tormenta di neve. I protagonisti non sono stinchi di santo e quindi la convivenza non è delle più serene e pacate. In un pezzo su Slate Aisha Harris ripercorre la sessualizzazione della violenza di Tarantino, soffermandosi su quegli episodi dei quali sono protagonisti i “negri”. Lo stupro di Marsellus Wallace in Pulp Fiction, la scena in cui Django/Jamie Foxx è appeso a testa in giù completamente nudo e Samuel L. Jackson minaccia di castrarlo per arrivare ad uno dei momenti clou dell’ultimo film. Ad un certo punto della vicenda narrata in Hateful Eight il Maggiore Marquis Warren (interpretato da Jackson) racconta di quando incontrò Chester, il figlio di uno dei presenti Sanford “Sandy” Smithers (ex-Generale sudista), del quale il padre sa solo che è morto qualche tempo dopo la fine della Guerra di Secessione. Il racconto è un lungo flashback nel quale Warren spiega al Generale che quando incontrò il figlio (che all’epoca faceva il cacciatore di “negri”) lo costrinse a implorare per la sua vita, facendolo inginocchiare e spogliare completamente nudo. Non contento di questa umiliazione Warren (ricordiamo che gli spettatori vedono la scena raccontata) obbliga Chester a succhiargli il cazzo. Per la Harris questo è il rovesciamento di quanto accade ai neri negli altri film di tarantino, dove l’eroe (ad esempio Django) è alla mercé del cattivone di turno. Insomma in questo film Tarantino rovescerebbe i ruoli di potere (un po’ come era la promessa non mantenuta degli anni postbellici) ma anche in Pulp Fiction Marsellus, dopo essere stato violentato da Zed ottiene la sua feroce vendetta solo che agli spettatori viene lasciata immaginare; anche se l’aspetto fallico della della demascolinizzazione è presente quando Marsellus spara a Zed in mezzo alle gambe (e anche Warren farà la stessa fine in Hateful Eight).
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Anche in the Hateful Eight tutta la vicenda del pompino, che forse scagiona in parte Tarantino dalle accuse di razzismo, è una vendetta di Warren nei confronti dei soprusi commessi dai bianchi sui neri. Non solo perché Chester era un cacciatore di ex-schiavi ma anche perché il padre aveva ucciso a sangue freddo i soldati di colore dell’esercito degli stati dell’Unione dopo averli catturati. E Warren questo lo sapeva. Ecco perché dopo averlo lasciato al freddo con la promessa che gli avrebbe dato una coperta Warren dice che quella promessa era la promessa di un bugiardo, proprio come quando l’Unione decise di arruolare dei soldati neri dando loro delle uniformi che il generale scelse di non rispettare trattandoli da schiavi quando invece erano uomini liberi. Una possibile interpretazione del racconto è che Jackson/Warren una volta entrato nella locanda e riconosciuto il Generale avesse già intenzione di ucciderlo (come poi accade) e che abbia inventato tutta la storia come pretesto per stuzzicare in modo crudele l’avversario e provocarlo. La “scandalosa” scena quindi è un’invenzione? Chi lo sa. Fatto sta che gli spettatori la vedono e questo basta per fornire delle interpretazioni più o meno fantasiose di cosa davvero significhi. E in fondo tutto il film è giocato su questa incertezza tra il vero e il non vero, soprattutto per quanto riguarda il personaggio interpretato da Jackson che poco prima di quella scena aveva rivelato di aver inventato di essere in possesso di una lettera del Presidente Lincoln. Cosa sarebbe successo se il Generale avesse colto che quella di Warren era una provocazione? Forse Jackson non avrebbe avuto modo di ucciderlo, e secondo alcuni questa può essere letta come una “lezione” sul fatto che non bisogna dare retta alle provocazioni. Saremmo quindi di fronte ad un Tarantino anti-violenza, possibile? Chissà. Non ci si può aspettare da Tarantino, come vorrebbe Spike Lee, una visione storicamente corretta di quanto accaduto in quegli anni. Ma anche negli ultimi due film di Tarantino si assiste ad una lenta e progressiva manifestazione della verità storica, con particolare occhio di riguardo alle vendette personali. Più che un film razzista Hateful Eight è – anche ma non solo – un film su quando l’America era orgogliosamente razzista. Non che le cose siano molto cambiate ora, almeno in alcune parti degli USA.

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