Cosa sappiamo sull'intervento russo nella campagna elettorale USA

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-01-09

Nel documento dell’intelligence USA c’è scritto che Putin e la Russia avevano intenzione di influenzare l’esito del voto. Non c’è scritto però se ci sono riusciti davvero, e questo è un aspetto fondamentale della questione sul quale ancora non sappiamo nulla

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La settimana scorsa i giornali hanno dato la notizia della pubblicazione ufficiale di una versione desecretata di un documento riservato del DNI, il Direttorato dell’Intelligence USA ovvero il dipartimento che coordina l’attività delle varie agenzie di intellingence (FBI, NSA, CIA), sulla questione delle attività di hacking coordinate dalla Russia durante la campagna elettorale per le presidenziali americane. Il documento è il “Background to “Assessing Russian Activities and Intentions in Recent US Elections”: The Analytic Process and Cyber Incident Attribution” e già dal titolo si può capire un aspetto di fondamentale importanza: non si parla dell’effetto delle attività russe sulla campagna elettorale ma delle intenzioni della Russia.
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Manca la pistola fumante di Putin

Ed infatti nelle 25 pagine del dossier pubblicato dall’Office of the Director of National Intelligence non c’è traccia di un’affermazione che dica che i russi sono effettivamente riusciti a condizionare l’esito delle elezioni statunitensi. Anzi, quello che manca è proprio il cosiddetto colpo finale. Dal documento emerge che i servizi segreti russi hanno condotto operazioni di cyber spionaggio e altro genere di operazioni informatiche nei confronti di obiettivi sensibili correlati alle elezioni USA del 2026, tra i vari obiettivi – è scritto nel dossier – ce n’erano alcuni associati ai principali partiti politici americani. Il nome del Presidente russo, Vladimir Putin, viene fatto fin dalla prima pagina. Putin, stando alle informazioni raccolte dall’intelligence USA, sarebbe il mandante delle operazioni atte ad influenzare le Presidenziali americane; gli obiettivi della Russia erano quelli di minare la credibilità di Hillary Clinton come candidato presidenziale e quindi impedire che venisse eletta. Allo stesso tempo il Governo Russo ha “sviluppato” una chiara preferenza per il candidato repubblicano Donald Trump. Mancano invece – ed in parte è comprensibile visto che si tratta di informazioni delicate – le prove “tecniche” che dimostrano la veridicità di queste affermazioni. Manca insomma quella che negli States chiamano “smoking gun” la pistola fumante che conduce direttamente a Putin e alla Russia. Non è dato di sapere se le agenzie di sicurezza americane l’abbiano trovata e si sia deciso di non rivelarla (per non minare troppo la credibilità di Trump, rendere difficoltosa la transizione da Obama a Trump o causare eccessive tensioni con la Russia) oppure se questo tassello dell’inchiesta ancora manca. Il dossier quindi non risponde alla domanda che tutti da novembre in poi si sono posti: Putin e la Russia hanno davvero falsato l’esito della consultazione elettorale? Insomma se volete sapere se davvero Donald Trump è stato eletto grazie ai “buoni uffici” dei russi non troverete risposta, e i più smaliziati non faranno fatica a notare che in un certo senso (e con i dovuti aggiornamenti tecnologici) quello che il DNI accusa la Russia di aver fatto è sostanzialmente quello che gli USA hanno fatto più o meno alla luce del sole nei vari paesi “alleati” per decenni.
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Hacker e televisione di Stato al servizio dei servizi segreti russi

Ma quali sono le possibili attività di hacking compiute dalla Russia ai danni degli USA? I casi in oggetti sono abbastanza noti. Il primo è stato l’hacking del Democratic National Committee (DNC), il comitato elettorale del partito Democratico compiuto da Guccifer 2.0, un presunto hacker rumeno che si sospetta invece essere di nazionalità russa e legato all’intelligence del Cremlino (il Direttorato principale per l’informazione o GRU). Guccifer 2.0 ha poi pubblicato i dati carpiti dai server del DNC sul sito DCLeaks.com e poi li ha inviati a Wikileak in modo da far arrivare all’opinione pubblica le informazioni rubate. L’operazione sarebbe stata condotta tramite un malware (APT28) che però è stato utilizzato anche per attaccare alcuni target legati al partito repubblicano e la cui esistenza e modalità di utilizzo è stata rivelata in un rapporto congiunto di FBI e Homeland Security che secondo alcuni non porta però dati sufficientemente conclusivi. Altra cosa invece è l’hacking (e il successivo leak) dell’account GMail del direttore della campagna della Clinton, John Podesta, che è avvenuto invece tramite una mail di phishing spedita a Podesta (e ad altri membri della campagna elettorale). La storia che invece la password dell’account di Podesta fosse “password” (come ha raccontato invece Fox News) invece non ha alcun senso. Infine, ma questa è una storia completamente diversa, c’è la questione dell’hacking del sistema di voto USA: nel documento del DNI non si fa alcun cenno riguardo al fatto che degli hacker possano aver modificato i voti espressi tramite le macchine per la votazione elettronica utilizzate in diversi seggi degli Stati Uniti. C’è inoltre nel DNI una corposa appendice che fa riferimento al modo in cui la televisione di Stato RT ha dato le informazioni durante la campagna elettorale USA. Secondo il DNI RT ha operato in modo sia da alimentare il malcontento dei cittadini statunitensi nei confronti dell’amministrazione Obama sia per diffondere informazioni false. Non siamo però qui nel campo di operazioni di cyberspionaggio o di di attacchi hacker ma in quelli – puri e semplici – della propaganda. Del resto che per il Cremlino la Clinton fosse un candidato sgradito è legittimo ed è cosa abbastanza nota visti i trascorsi tra Putin e Hillary Clinton quando questa era Segretario di Stato di Obama. Il punto che però interessa sapere è se davvero tutti questi sforzi siano serviti allo scopo (ovvero far eleggere Trump) oppure no. Questo, lo ripetiamo, non lo sappiamo e il DNI non lo dice. Il che ci può portare da una parte a supporre che in fondo Putin si sarebbe considerato “vincitore” di questa battaglia in ogni caso anche se avesse vinto la Clinton, perché il Mondo avrebbe appreso che la Russia era in grado di manipolare la campagna elettorale e creare scandali negli USA. Dall’altra che questo genere di scontri e di cyberguerre sono sostanzialmente “ordinaria amministrazione” e si tratta di attacchi che l’intelligence statunitense e quella russa si scambiano di continuo in una sorta di nuova guerra fredda. Con questo non voglio ridimensionare la portata delle rivelazioni del DNI (rivelazioni che per come le abbiamo ricevute sono incomplete) ma ricondurre il dibattito sugli hacker russi a quella che – per il momento – è stata la loro reale portata. Perché basta davvero poco, ai giornali americani e non solo, per inventarsi qualche storia fantasiosa di complotti e attacchi russi ai danni di tutto ciò che è buono e sacro in America. Ma lì stiamo parlando di qualcos’altro: di fake news. Argomento che c’entra solo in piccola parte con quanto contenuto nel dossier del DNI.
 

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