Ma davvero la Grecia ha votato al referendum per non pagare i debiti?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-07-06

Gli economisti di Facebook oggi sono tutti eccitati: hanno deciso di fare un referendum per non pagare più il mutuo sulla casa perché secondo loro è quello che hanno fatto i greci ieri. Check the facts!

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Gli effetti della vittoria del No al #greferendum si fanno sentire anche qui da noi in Italia. Non a livello economico ma a livello di opinioni (doxa direbbe un greco famoso dei tempi che furono). Quel gran genio del vostro amico che qualche giorno fa vi spiegava “tutti i crimini commessi dai greci” da ieri sera è tornato alla carica e continua a ripetere che No, lui il mutuo per la casa da domani non lo paga più. E no, lui le rate per la macchina dal mese prossimo non le vuole più pagare. Perché ha indetto un referendum a casa sua (o nel suo condominio) e la maggioranza dei votanti si è espressa a favore del No. La prima, vera, conseguenza della vittoria del No al referendum in Grecia è l’ondata di economisti della Facebook.spa e di laureati in economia all’Università della Strada che vi spiega la situazione greca in modo spiccio.

REFERENDUM TSIPRAS GRECIA
Il debito di Atene (Corriere della Sera, 27 giugno 2015)

LA GRECIA NON VUOLE PAGARE I DEBITI?
I migliori sono quelli che vi raccontano che ogni italiano vanta un credito di mille euro nei confronti della Grecia e che festeggiare oggi per il No è quantomeno da irresponsabili, perché quei soldi lì sono nostri, glieli abbiamo prestati noi. E allora il popolo di Facebook (composto al 99% da laureati in economia) è pronto a chiedere la testa di Alexis Tsipras e ad indire un referendum per decidere se continuare a prestare i soldi alla Grecia oppure se… Sull’alternativa i nostri eroi convenientemente non si sono ancora espressi. Nell’immaginario collettivo il popolo greco è in poche parole come quel vostro amico che vi chiede i soldi in prestito e dopo lunghe discussioni decide che non ve li restituisce. In realtà le cose non stanno così, ed è abbastanza ovvio per chiunque abbia seguito la vicenda greca in modo non superficiale. La realtà delle cose è che la vittoria del No al #greferendum di ieri non significa che la Grecia non pagherà i debiti. Quindi, prima di decidere di saltare la prossima rata del mutuo fermatevi un attimo e cerchiamo di capire assieme cosa è successo ieri cosa sta per succedere. Innanzitutto partiamo dal quesito referendario, al di là di quello che si è detto e scritto in questi giorni la domanda cui i greci hanno risposto ieri rimane sempre quella:

Referendum del 5 luglio 2015. Deve essere accettato il progetto di accordo presentato da Commissione europea, Bce e Fmi nell’Eurogruppo del 25 giugno 2015, composto da due parti che costituiscono la loro proposta? Il primo documento è intitolato “Riforme per il completamento dell’attuale programma ed oltre” ed il secondo “Analisi preliminare per la sostenibilità del debito”

C’è scritto da qualche parte “volete voi smettere di pagare il debito?”. No. E prima che inizino le interpretazioni sul significato ultimo del quesito referendario andiamo a vedere cosa hanno detto i protagonisti della campagna per il No in questi giorni.


LA GRECIA VUOLE UNA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
È da gennaio che il Governo guidato da Alexis Tsipras chiede una ridiscussione del debito di Atene. Sarebbe bastato leggere il documento in cui ad aprile l’allora Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis faceva il punto su tre mesi di trattative con la Troika. Già all’epoca Varoufakis sottolineava la necessità di elaborare un piano che tenesse conto della situazione greca reale e non di una situazione ideale. Per il ministro greco non era possibile continuare a seguire una strategia fatta principalmente di tagli alla spesa, ai salari e privatizzazioni, perché ha già fallito fino ad ora. Il nuovo approccio alla soluzione della crisi del debito greco non doveva essere basato, secondo Varoufakis, su una “backward induction” ovvero le decisioni non vanno prese in conseguenza di un termine massimo temporale per il rientro della Grecia sotto una certa soglia di rapporto debito/PIL. Ad aprile Varoufakis sosteneva la necessità di lanciare un piano di rientro basato sulla situazione greca reale, un piano che potesse poi essere aggiustato e corretto in futuro. In questo modo la Grecia non sarebbe stata costretta a rincorrere una situazione futura “ideale” ma avrebbe potuto costruire un percorso di risanamento tenendo conto del tasso di crescita del Paese.

The current disagreements with our partners are not unbridgeable. Our government is eager to rationalize the pension system (for example, by limiting early retirement), proceed with partial privatization of public assets, address the non-performing loans that are clogging the economy’s credit circuits, create a fully independent tax commission, and boost entrepreneurship. The differences that remain concern how we understand the relationships between the various reforms and the macro environment.
None of this means that common ground cannot be achieved immediately. The Greek government wants a fiscal-consolidation path that makes sense, and we want reforms that all sides believe are important. Our task is to convince our partners that our undertakings are strategic, rather than tactical, and that our logic is sound. Their task is to let go of an approach that has failed.

Insomma Varoufakis diceva che le riforme erano necessarie, ma spiegava che senza un nuovo piano di ridiscussione del debito le riforme non avrebbero avuto l’effetto benefico sperato sull’asfittica economica greca. E lo stesso Varoufakis ha detto in un’altra occasione che la Grecia aveva intenzione di “rispettare tutti i suoi obblighi con tutti i suoi creditori ‘ad infinitum’“. Fin dal suo insediamento Tsipras ha sempre detto che la priorità della sua azione di governo sarebbe stata la ristrutturazione del debito ed è tornato a ribadirlo nei giorni scorsi prima del voto.


Se ancora non siete convinti che il piano sia quello di ottenere una ristrutturazione del debito potete leggere le motivazioni elencate da Varoufakis a sostegno del No, i primi quattro punti parlano in modo chiaro della necessità di ristrutturare il debito, manca però l’impegno e la volontà da parte dei creditori di accettare di sedersi al tavolo per rinegoziare il piano di rientro:

1-Negotiations have stalled because Greece’s creditors (a) refused to reduce our un-payable public debt and (b) insisted that it should be repaid ‘parametrically’ by the weakest members of our society, their children and their grandchildren
2-The IMF, the United States’ government, many other governments around the globe, and most independent economists believe — along with us — that the debt must be restructured.
3-The Eurogroup had previously (November 2012) conceded that the debt ought to be restructured but is refusing to commit to a debt restructure
4-Since the announcement of the referendum, official Europe has sent signals that they are ready to discuss debt restructuring. These signals show that official Europe too would vote NO on its own ‘final’ offer.

È davvero un vero peccato che Varoufakis si sia dimesso. Chissà ora chi accompagnerà in banca a rinegoziare i vostri amici che non vogliono pagare il mutuo (in Italia).

Le prossime tappe del percorso di Atene e le scadenze del debito ellenico (fonte: Bloomberg.com)
Le prossime tappe del percorso di Atene e le scadenze del debito ellenico (fonte: Bloomberg.com)

COSA SIGNIFICA RIDISCUTERE IL DEBITO?
Le richieste del Governo greco sono dettate dal fatto che il debito pubblico ellenico è insostenibile. E a dirlo non sono quei fannulloni spreconi dei greci, a dirlo non sono solo Varoufakis e Tsipras, a dirlo è il Fondo Monetario Internazionale. A maggio un articolo del Financial Times riportava la notizia che il FMI avrebbe chiesto ai creditori dell’Eurozona di tagliare il debito di Atene per permettere alla Grecia di tornare sulla strada della sostenibilità. Notizia parzialmente smentita da una nota successiva del Fondo in cui si confermava che la Grecia potrebbe avere bisogno di un “taglio del debito” (haircut) smentendo però il fatto che il FMI avesse chiesto una svalutazione del debito in mano ai creditori europei. Un documento riservato del FMI pubblicato qualche giorno fa dal Guardian conferma proprio la tesi dell’insostenibilità del debito greco. L’analisi mostra che nel 2030, dopo 15 anni di forte e costante crescita, il Paese si troverebbe schiacciato da un debito pubblico insostenibile. Il documento del FMI sottolinea quindi la necessità di fare “concessioni significative” alla Grecia per consentirle di uscire dalla crisi del debito. Stante la situazione attuale la Grecia avrebbe scarse possibilità, nella migliore delle ipotesi, di ridurre il debito pubblico al 110% del PIL entro il 2022. Condizioni dettate dalla Troika a novembre 2012. Cosa significa in parole povere? Che gli obiettivi del 2012 sono impossibili da raggiungere.
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L’infografica del Sole 24 Ore sul salvataggio della Grecia nel 2009

Ma cosa significa rinegoziazione del debito? Sostanzialmente le opzioni sono tre: la prima è un aumento delle scadenze (ovvero concedere tempi più lunghi alla Grecia per ripagare il debito), la seconda è un taglio (parziale) del debito di Atene mantenendo però le scadenze attuali, infine la terza prevede sia una dilazione dei tempi dei pagamenti sia un taglio. E la ristrutturazione del debito la consiglia il Fondo Monetario Internazionale, quindi è il FMI che dice che sarà necessario, nel prossimo futuro, procedere ad una riduzione del debito o ad un nuovo accordo tra Grecia e creditori internazionali (ovvero la Troika). Un nuovo accordo è anche quello che hanno chiesto i greci con il referendum di ieri. Già che ci siete, fatevi una domanda e datevi una risposta: c’è più probabilità che la Grecia ripaghi i suoi debiti dentro l’euro o fuori? Potete quindi dire a quel gran genio del vostro amico che Varoufakis e Tsipras avevano ragione, ma che il massimo che potrà fare è andare a rinegoziare il debito con la banca. Ricordatevi poi di farvi raccontare come è andata, magari così capirete le difficoltà avute dal governo greco durante le trattative di questi ultimi sei mesi. E già che ci siete ricordatevi di chiedergli cosa ha votato, quel gran genio del vostro amico, a quel referendum che ci chiedeva se volevamo accollarci o meno i crediti delle banche tedesche e francesi.

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