L'Agenda Giavazzi ora ha cinque punti

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-02-28

Sul Corriere della Sera l’editorialista torna a pungolare il governo Renzi.

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Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera detta oggi un’agenda economica per il premier e chiede al governo di muoversi per mettere in sicurezza la crescita dell’Italia. Il primo problema da risolvere è quello delle banche. Gli istituti maggiori sono capitalizzati, mentre quelli minori sono oggettivamente in difficoltà. E poi c’è l’eccezione Montepaschi:

Per fugare l’ombra che si stende sulle nostre banche bisogna mettere in sicurezza il Monte. Servono circa dieci miliardi di euro. È escluso che vi siano investitori privati disposti a metterceli e sarebbe un delitto indurre le banche maggiori a farlo mettendone a rischio la solidità. Lo Stato sarebbe potuto intervenire quando ancora le regole europee lo consentivano, ma non lo fece. L’unica strada rimasta è usare la Cassa depositi e prestiti, un’istituzione di fatto pubblica (il maggior azionista è il ministero dell’Economia) ma che le regole europee considerano privata perché una quota di minoranza è posseduta dalle fondazioni bancarie. Per mettere dieci miliardi nel Monte la Cassa deve però vendere una parte delle sue partecipazioni in Eni, Snam, Terna, Fincantieri. Almeno temporaneamente, perché il Monte risanato fra qualche anno potrà essere venduto, come fece il governo di Londra dopo aver nazionalizzato Lloyds e Royal Bank of Scotland. Non farlo per l’orgoglio di non perdere il controllo delle aziende di cui Cdp è il maggiore azionista sarebbe una decisione poco lungimirante.

Poi Giavazzi chiede di abbassare la pressione fiscale, anche alzando le tasse dell’università:

Se si vuole fare una battaglia con Bruxelles bisogna che ne valga la pena: per abbassare la pressione fiscale di due punti sì, per uno zero virgola francamente no. Il problema non è Bruxelles (i deficit di Francia e Spagna sono al di là del 4% da anni), ma la reazione dei mercati. Per convincere gli investitori internazionali che questo non segnerebbe il passaggio alla finanza allegra (che pagheremmo con maggiori interessi sul debito) ma l’avvio di una nuova strategia di crescita, è necessario accompagnare la riduzione delle tasse con un programma di corrispondenti tagli di spesa da attuare in un triennio. Tagli netti, non, come è avvenuto quest’anno, tagli per 25 miliardi compensati da 20 di maggiori spese. E qualcosa di concreto va fatto subito, altrimenti al programma di tagli nessun crederà. Ad esempio anticipando già quest’anno una riduzione drastica delle 8mila società municipalizzate e la chiusura di quelle senza dipendenti e con fatturati ridotti, come proposto in autunno da Roberto Perotti. Risorse possono arrivare anche dalla revisione del prezzo di alcuni servizi (come l’università) che lo Stato offre sotto costo a tutti, indipendentemente dal reddito.

Poi ci sono gli investimenti, in caduta per sette anni e soltanto ora in ripresa, ma il rischio è che agli appalti partecipano ditte con infiltrazioni; per ovviarlo bisogna richiedere che chi partecipa a una gara si doti di un’assicurazione, un cosiddetto performance bond. Così che siano le compagnie di assicurazione (che hanno un incentivo a farlo con scrupolo) a filtrare i partecipanti alle gare:

Poiché in Italia (nonostante esista una legge che lo consente) questo pare impossibile (non si capisce perché, forse proprio perché ostacolerebbe la corruzione) si potrebbe cominciare con l’imporre alle società che partecipano a una gara un requisito di capitale proporzionale al valore dell’appalto. E poi dotarsi di controllori indipendenti, impedendo, come accade nel resto del mondo, che il general contractor sia anche responsabile dei controlli sull’esecuzione dei lavori.

Giavazzi chiede anche maggiore concorrenza dopo la brutta fine che ha fatto la legge del governo:

Ci sono anche i rentiers veri che questo governo si guarda bene dal disturbare. L’esitazione in tema di concorrenza è una delle cose che più colpisce in un governo che tanto parla di modernità. E intanto consente che le mille lobby che difendono i loro privilegi smantellino in Parlamento la legge sulla concorrenza – già era un testo all’acqua di rosa. Se approvata con gli emendamenti che il Parlamento vi ha introdotto, la legge continuerebbe a vietare agli avvocati di costituire società di capitali, l’unico modo per svecchiare una professione che è tra le più atrofizzate in Europa. Non consentirebbe alle parafarmacie di vendere medicinali di Fascia C. Nella lotta senza quartiere alla share economy, di cui si servono milioni di consumatori, è spuntato un emendamento che proibirebbe ai soggetti che non svolgono attività alberghiera (leggi: Airbnb) di utilizzare non solo nell’insegna o nella ragione sociale ma anche in «qualsiasi forma di comunicazione al pubblico», incluso Internet, «parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee ad indurre confusione sulla legittimazione allo svolgimento della stessa». «Neanche la Polizia del Pensiero di George Orwell avrebbe mai pensato di prendersela con gli affittacamere», ha notato Alessandro Denicola (la Repubblica, 24 febbraio). Dato che ha dimestichezza con i maxi-emendamenti, il governo dovrebbe proporne uno che riporti questa legge al testo che esso stesso varò un anno fa. Meglio ancora al testo che il ministro per lo Sviluppo economico propose e che il Consiglio dei ministri annacquò.

Infine, L’editorialista del Corriere chiede di rafforzare le autorità indipendenti che vigilano sui mercati finanziari.

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