Giancarlo Giusti: il suicidio del magistrato e l'ultima intervista

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-03-15

Si è impiccato nella sua casa di Montepaone Lido, nel catanzarese, dove era agli arresti domiciliari. Due indagini e una condanna per lui, oltre alla sospensione dagli incarichi operata dal CSM

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Giancarlo Giusti, 48 anni, ex giudice del tribunale del riesame di Reggio Calabria, si è impiccato nella sua casa di Montepaone Lido, nel catanzarese, dove soggiornava agli arresti domiciliari. Il magistrato è stato trovato morto stamattina da una persona a lui vicina, che non lo sentiva da alcuni giorni. Il cadavere di Giusti è stato trovato nella tavernetta della villa in cui abitava. Per impiccarsi, secondo quanto è emerso dagli accertamenti eseguiti sul posto dai carabinieri del Reparto operativo di Catanzaro e della Compagnia di Soverato, il giudice ha utilizzato un cavo che ha legato a un finestrone.
 
GIANCARLO GIUSTI: IL SUICIDIO DEL MAGISTRATO E LA SUA ULTIMA INTERVISTA

Nel settembre 2012 aveva tentato il suicidio mentre era detenuto nel carcere milanese di Opera, e per questo gli erano stati concessi i domiciliari. Giusti era coinvolto in due inchiesta della Direzione investigativa antimafia di Milano e di Catanzaro per i suoi presunti rapporti con la ‘ndrangheta. L’ex giudice era stato sospeso dal Csm per effetto di quella prima sentenza di condanna, ma su di lui pesava anche una seconda indagine. A febbraio dello scorso anno, infatti, l’uomo venne arrestato su ordine della Dda di Catanzaro nell’ambito dell’operazione contro la cosca Bellocco di Rosarno (Reggio Calabria. In questo secondo caso, Giusti era accusato di avere ottenuto dal clan 120mila euro per accogliere l’istanza di scarcerazione nei confronti di tre esponenti malavitosi arrestati in precedenza. Nell’inchiesta milanese, invece, Giusti era stato condannato dal gup a 4 anni di reclusione il 27 settembre 2012 ed il giorno successivo aveva tentato il suicidio a Opera, ma era stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. L’accusa iniziale nei suoi confronti era di corruzione aggravata dalle modalità mafiose. Il provvedimento portò il Csm a sospenderlo dal suo incarico. In una delle intercettazioni di Milano, l’ex giudice disse al presunto boss Giulio Lampada: «Dovevo fare il mafioso, non il giudice». In questo secondo caso a Giusti fu contestata l’accusa di corruzione in atti giudiziari, aggravata dal metodo mafioso. In una intervista a Klaus Davi per il canale Klauscondicio risalente allo scorso febbraio Giusti proclamava in modo abbastanza confuso la sua innocenza.

L’intervista di Klaus Davi a Giancarlo Giusti


LE INTERCETTAZIONI SU GIANCARLO GIUSTI
Non è escluso che il suicidio di Giusti risalga a qualche giorno fa. Non ha lasciato bigliettI per spiegare i motivi del suicidio. Sarà l’autopsia, disposta dal pm di turno della Procura della Repubblica di Catanzaro, Fabiana Rapino, a fare luce su ogni dettaglio. Nella sua carriera era stato giudice delle esecuzioni immobiliari a Reggio Calabria e poi dal 2010 Gip a Palmi. Era finito nei guai il 28 marzo del 2012 quando venne arrestato con l’accusa di corruzione aggravata dalle finalità mafiose, nell’ambito di una inchiesta della Dda di Milano sulla cosca dei Valle-Lampada e, in particolare, in un filone relativo alla cosiddetta “zona grigia”. La Dda di Milano gli aveva contestato di essere sostanzialmente a “libro paga” della ‘ndrangheta. Secondo l’inchiesta il giudice con le cosche aveva una serie di rapporti di affari. In particolare, i Lampada non solo gli avrebbero offerto l’opportunità di entrare nel giro dei alcuni business, ma avrebbero anche appagato quella che il gip di Milano, nell’ordinanza di custodia cautelare, aveva definito una vera e propria “ossessione per il sesso”, facendogli trovare prostitute in alberghi di lusso milanesi. Giusti era insomma sotto scacco da diversi anni, al servizio delle cosche in cambio di serate organizzate con escort e locali di lusso. L’uomo, ormai da tempo fuori dalla magistratura era separato e si era ritirato a vivere da solo a Montepaone, in provincia di Catanzaro, dove aveva una casa di famiglia.

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