Il colmo per un grillino? Gentiloni governerà anche grazie ai voti di sette ex 5 Stelle

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-12-16

Se i Cinque Stelle avessero selezionato meglio i loro parlamentari e se non avessero così tanta fretta ad espellere quelli che non sono appiattiti sulla linea dettata da Grillo e Casaleggio oggi Gentiloni al Senato avrebbe una maggioranza più risicata e sarebbe più facile andare ad elezioni anticipate

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Paolo Gentiloni al Senato ha preso la fiducia con lo stesso numero di voti del Governo Renzi: 169. Però con una differenza rispetto a quando nel 2014 Renzi ottenne la fiducia dei senatori dopo il suo famoso discorso sul fatto di essere “l’ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia al Senato”. A votare Sì al governo Gentiloni infatti non c’erano i diciotto verdiniani di ALA e alcuni senatori del NCD. Ci sono state invece quattordici new entry – come le definisce oggi il Corriere della Sera – tra cui spicca una nutrita pattuglia di senatori eletti tra le fila del MoVimento 5 Stelle.

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I sette senatori ex M5S che hanno votato la fiducia a Gentiloni Fonte: Corriere della Sera del 16/12/2016

Quanto pesano i Sì degli ex M5S al Governo Gentiloni?

Dal momento che, come è noto, i 113 senatori del Partito Democratico non sono sufficienti per ottenere la maggioranza dei voti d’Aula (che è di 161 voti), Gentiloni aveva bisogno di poter contare sull’appoggio di altri partiti. Mercoledì il PD ha ottenuto 111 sì (il Presidente Grasso non vota e il senatore Casson era in missione) ai quali si sono aggiunti 28 voti da Area Popolare (il gruppo che comprende UDC e NCD), i 16 di Autonomie (dove però non hanno partecipato al voto Claudio Zin e i senatori a vita Renzo Piano e Carlo Rubbia mentre hanno votato Sì i senatori a vita Giorgio Napolitano e Elena Cattaneo), i 3 di Gal ed infine gli 11 di alcuni senatori facenti parte del Gruppo Misto. Se tutti i senatori fossero stati presenti in Aula il Governo avrebbe ottenuto la fiducia per appena otto voti ma, complice il fatto che ALA e Lega Nord non hanno preso parte al voto il numero complessivo dei presenti è stato di 269 senatori e quindi la maggioranza era a quota 135.
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Tra i 169 favorevoli al governo Gentiloni ci sono ben sette senatori ex M5S che ora militano in diversi gruppi parlamentari, da Autonomie (lo stesso gruppo del quale fa parte “l’odiato” Napolitano) al Gruppo Misto passando per Area Popolare. A votare Sì sono stati gli ex pentastellati Antinori, Battista, Orellana, Bencini, Molinari, Romani e Fuksia. Quest’ultima ha motivato la sua “scelta di responsabilità” spiegando che il Governo avrebbe ottenuto la fiducia anche senza il suo voto ma che ha voluto metterci lo stesso la faccia per dare al Paese un governo “completo ed effettivo”. In realtà la cosa non è poi una novità, perché anche se la Fuksia non ha votato la fiducia a Renzi all’atto del suo insediamento (perché era ancora nei Cinque Stelle) ha più volte votato sì alle questioni di fiducia poste dall’esecutivo guidato dal Segretario PD (assieme ad esempio all’ex compagna di partito Alessandra Bencini). Anche Lorenzo Battista ha spiegato in un lungo post le ragioni della sua scelta e spiegando che il suo sì non è solo perché il Paese ha bisogno di una legge elettorale fedele al dettato costituzionale ma anche perché ci sono molte altre cose da fare

E poi, ci sono tante cose che si possono fare senza essere populisti: sbloccare il disegno di legge sulla regolamentazione delle lobby fermo da troppo tempo in commissione, affrontare seriamente una riduzione della spesa pubblica, mettere mano ai costi della politica partendo dal vitalizio dei parlamentari.
Bisognerebbe anche aggredire il ginepraio di agevolazioni fiscali che si è stratificato nel corso degli anni: un ammasso di misure che andrebbero riviste e semplificate per creare un fisco più facile, giusto e leggero.

Sembra quasi che per Battista Gentiloni possa rimanere in carica fino a fine legislatura, tante sono le cose che ritiene debbano essere fatte al più presto.

La senatrice Fuksia però si sottovaluta, il suo voto potrà non essere stato decisivo mercoledì 14 dicembre, ma lo sarà ogni qualvolta che Gentiloni porrà la questione di fiducia al Senato. Non è realistico pensare infatti che Lega e ALA se ne stiano sempre fuori dall’Aula per non partecipare al voto invece che votare contro. E così è corretto dire che senza i voti di quegli ex Cinque Stelle oggi il Governo sarebbe fermo a 162 voti, appena due in più del necessario per avere la maggioranza. Il che, come ricorderanno bene coloro che hanno vissuto gli ultimi mesi dell’ultimo Governo Prodi che si reggeva su una maggioranza di tre senatori, non è esattamente la strada migliore per stare al governo. Gli ex Cinque Stelle quindi non saranno stati determinanti nel dare la fiducia mercoledì, ma lo saranno sempre di più nei prossimi mesi man mano che il Presidente del Consiglio rimarrà in carica e dovrà fronteggiare lo scontento di quei partiti (M5S e Lega in testa) che chiedono di andare al voto subito. Anche perché Gentiloni in Aula ha definito il proprio un governo “di responsabilità” che durerà “fin quando avrà la fiducia del Parlamento”. Chissà cosa sarebbe successo se i Cinque Stelle non avessero espulso quei sette senatori, oppure se avessero selezionato meglio la classe dirigente del partito per essere sicuri di non far eleggere i classici – e temuti – voltagabbana. Forse a quest’ora saremmo già alle urne. Sto scherzando, non c’è la legge elettorale, ricordate?

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