La flessibilità non mantiene le promesse

di Guido Iodice

Pubblicato il 2014-10-07

A volte capitano cose strane, ad esempio che il Ministero dell’Economia pubblichi uno studio, realizzato in collaborazione con l’Università di Roma Tre, secondo il quale la flessibilità ha peggiorato le performance del mercato del lavoro italiano.

article-post

image (1)
A volte capitano cose strane, ad esempio che il Ministero dell’Economia pubblichi uno studio, realizzato in collaborazione con l’Università di Roma Tre, secondo il quale la flessibilità ha peggiorato le performance del mercato del lavoro italiano.
Lo ha scoperto Carlo Clericetti che, nel suo blog su Repubblica, spiega il contenuto di un dettagliato paper a cura di due ricercatori, Germana Di Domenico e Margherita Scarlato. Scrive Clericetti:

Parlando della riforma Biagi (p. 27), si osserva che “l’effetto netto dell’introduzione della politica è stato di ridurre piuttosto che favorire l’occupazione”. E all’inizio della pagina successiva, tante volte qualcuno non avesse capito bene: “La riforma Biagi ha causato un peggioramento della dinamica occupazionale”.

Ma non basta. I risultati dello studio sembrano una picconata dietro l’altra alle presunte capacità delle riforme di promuovere occupazione e crescita. È tutto il contrario.

1) in seguito alla riforma [Biagi] si stima una probabilità minore di transitare da stati di non occupazione verso contratti a tempo indeterminato;
2) per i soli soggetti in uno stato iniziale di contratto a progetto (collaboratori), si registra una maggiore probabilità di transitare verso contratti a tempo indeterminato (circa 1 per cento), mentre si registra una diminuzione sostanziale della probabilità di transitare da contratti a tempo determinato verso contratti a tempo indeterminato (circa 10 per cento);
3) per i soggetti con contratti a progetto e contratti a tempo determinato, aumenta la probabilità di uscire dal mercato del lavoro.

E non va meglio con la riforma Fornero:

1) per i lavoratori che si trovano fuori dal mercato del lavoro si è verificato un aumento della probabilità di permanere in questo stato;
2) un dato particolarmente allarmante che risulta dalla nostra elaborazione è l’incremento della probabilità di permanenza nello stato di disoccupazione (dal 39 per cento al 50 per cento);
3) aumenta la probabilità di permanenza nello stesso stato per i lavoratori con un contratto a tempo determinato.

Le conclusioni sono disarmanti: «Presi congiuntamente, questi risultati indicano che, nel periodo considerato, la legge Fornero non ha contribuito a ridurre la segmentazione del mercato né è riuscita a mitigare l’impatto della crisi economica sul mercato del lavoro. La flessibilità in Italia continua quindi a configurarsi come una trappola che blocca in un precariato permanente i lavoratori che entrano nel mercato con contratti atipici».
Matteo Renzi e il ministro Poletti forse dovrebbero dare uno sguardo allo studio.
 

Potrebbe interessarti anche