I voucher: il lavoro nero al tempo del Jobs Act

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-04-27

Servivano per tutelare le forme di lavoro occasionali e temporanee, li usano per sostituire altre forme di contratto. Un vero successo del Jobs Act nella creazione di nuovi posti di lavoro precari

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A cosa servono i voucher? Secondo quanto detto da Filippo Taddei, responsabile dell’economia e del lavoro del Partito Democratico, in un’intervista pubblicata ieri da Repubblica i voucher sono uno strumento utile per favorire l’emersione del lavoro nero. E, sempre secondo Taddei, il boom dei voucher nell’era del Jobs Act – 66% nel 2015 e +45% nel primo bimestre 2016 rispetto allo stesso periodo del 2016 – è la prova provata che questo sistema di pagamenti per prestazioni occasionali sta aiutando l’emersione del sommerso. Ma è davvero così? Secondo alcuni, ad esempio il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano e il presidente dell’INPS Tito Boeri i voucher hanno l’effetto opposto: ovvero vengono utilizzati per mascherare il lavoro nero.
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I limiti dei voucher e l’abuso dei buoni lavoro

Ci sono pochi dubbi che – a fronte dei 115 milioni di voucher per ore di lavoro pagati nel 2015 per un totale di 1,4 milioni di lavoratori – spesso e volentieri il pagamento dei voucher venga utilizzato per nascondere l’effettiva quantità di ore lavorative. Tradotto in parole povere: il datore di lavoro segna un’ora pagata con i voucher lavoro ma è possibile che il lavoratore (tutt’altro che occasionale) di ore effettive ne abbia lavorate molte di più. Poi, quando scattano i controlli a campione o, nella peggiore delle ipotesi, si verifica un incidente sul lavoro il datore di lavoro prontamente compila anche i voucher per coprire le ore restanti in modo da risultare in regola con i contributi. Per Taddei la soluzione non è quella di restringere il campo d’applicazione dei voucher, eliminando la liberalizzazione a tutti i settori economici che è stata fatta in Italia e che consente di utilizzare i “buoni” per pagare molte prestazioni lavorative entro i settemila l’anno (inizialmente il tetto era di cinquemila euro). Secondo i sindacati – che li definiscono “un caporalato cartaceo” – dietro il boom dei voucher c’è la volontà da parte dei datori di lavoro di nascondere rapporti lavorativi regolari e continuativi che non dovrebbero essere pagati con i voucher e che si dovrebbero tradurre invece in contratti più stabili con maggiori tutele per i lavoratori. Il sistema dei voucher nasce con la Legge Biagi per rendere più trasparente il mercato del lavoro di quei “lavoretti” saltuari che – vista la loro natura – risultavano essere esclusi dalle tutele legislative, l’obiettivo era quindi tutelare il lavoro occasionale accessorio, non creare un sistema per evitare di stipulare contratti di lavoro stabile.

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fonte: infodata sole 24 ore

Voulez vous voucher avec moi

Il punto è che i settori dove si è registrato il maggiore ricorso ai voucher sono quelli del turismo, del commercio e della ristorazione dove così facendo i datori di lavoro sembrano manifestare l’intenzione di ricorrere a una modalità che vada a sostituire altre forme contrattualistiche più strutturate (si parla di voucher utilizzati anche nel settore dell’edilizia). E ci sarebbe da chiedersi quindi come mai nella riforma del Jobs Act sia stato alzato il tetto retributivo e ne sia stato liberalizzato l’utilizzo. È giusto quindi – come sottolinea Taddei – richiedere una maggiore tracciabilità dei voucher, ma questa richiesta dimostra tutti i limiti del sistema di pagamento delle prestazioni lavorative che di per sé avrebbe dovuto consentire l’emersione del sommerso. Come spiega Marta Fana facendo un’analisi puntuale delle risposte del responsabile economico del PD la necessità di rendere tracciabili i voucher “deriva inevitabilmente dalla constatazione che i voucher mascherano più nero di quanto ne fanno emergere“. Manca inoltre, a quanto pare, la dimensione di discontinuità  che dovrebbe essere la caratteristica principale di quei lavori pagati tramite voucher. È evidente che non tutto il lavoro nero ha questa caratteristica e che quindi i voucher non possono avere la pretesa di far emergere tutto il sommerso ma solo una sua parte, quando Taddei dice che quel milione e quattrocentomila italiani pagati tramite i voucher (i voucheristi) sono un numero “molto simile” al 1.2 milioni di lavoratori del sommerso sta giocando con i numeri per descrivere qualcosa che non è la realtà. Se le cose stessero come le spiega Taddei allora significherebbe che il lavoro dipendente (che sia nero o no) può essere sostituito dai voucheristi. La realtà delle cose è che ad oggi non si sa chi siano i lavoratori “a voucher” e non si sa nemmeno cosa fossero e che contratto avessero prima di essere pagati con i buoni. Per poterlo sapere non è rilevante la tracciabilità dei pagamenti quanto l’analisi dell’INPS che però deve ancora essere pubblicata. È indicativo però che sia stato proprio il presidente dell’INPS uno a denunciare l’abuso dell’utilizzo dei voucher definendoli la nuova frontiera del precariato perché rischiano di essere per molti l’unica fonte di lavoro privando i lavoratori di un normale contratto lavorativo. Più che la tracciabilità o l’abolizione dei buoni una soluzione alla questione dei voucher potrebbe essere quella proposta da Cesare Damiano che chiede un ritorno “alle origini” per l’utilizzo dei voucher in modo da limitarne il ricorso ad attività lavorative occasionali di tipo accessorio:

Vuol dire che le prestazioni di lavoro accessorio devono tornare ad essere attività lavorative di natura meramente occasionale, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro. Biagi elencava le tipologie: piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare a bambini o persone anziane ammalate o con handicap. E ancora: l’insegnamento privato supplementare, piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, e così via. Lo spirito della legge Biagi è stato profondamente cambiato. Così l’idea di far emergere quote di lavoro nero si è trasformata esattamente nel suo contrario

C’è infine un ultimo aspetto, quello del Governo che ha varato il Jobs Act per rendere più stabili i contratti di lavoro e poi incentiva il ricorso a forme di pagamento che sono l’essenza stessa della precarietà. Secondo Taddei lo scopo è quello di fare emergere il sommerso, non si spiega allora come la quota di lavoro nero sia rimasta pressoché invariata.

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