Fecondazione eterologa: immorale vendere i propri ovociti?

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2015-02-03

Il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40 è finalmente caduto ma ora l’ostacolo è la scarsa disponibilità dei gameti

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«Prevedere un ‘premio di solidarietà’ per le donne che volessero donare i propri ovociti per la fecondazione eterologa a favore di altre coppie e stabilire delle facilitazioni per le pazienti che, sottoponendosi a fecondazione omologa, volessero donare parte degli ovociti, come l’eliminazione del pagamento del ticket previsto e un percorso di priorità in lista d’attesa. Queste le proposte contenute, secondo quanto si apprende, in un documento messo a punto dal tavolo tecnico delle Regioni sulla procreazione medicalmente assistita (pma), che sarà inviato agli assessori regionali» (Eterologa: tavolo Regioni, premi e nessun ticket a donatrici, ANSA, 2 febbraio 2015). La storia della donazione di gameti (la cosiddetta fecondazione eterologa) è da sempre una storia difficile in Italia: prima il divieto, poi finalmente la possibilità di farvi ricorso. Ma più come caduta del divieto legale che come effettiva possibilità.
 
NON CI SONO GAMETI
Mancano i gameti donati, soprattutto quelli femminili e non è difficile capirne la ragione: mentre donare lo sperma è abbastanza facile, donare gli ovociti richiede una procedura più complessa e invasiva. Non solo: «Ad oggi tuttavia, si rileva, solo tre Regioni (Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia) hanno recepito con delibera regionale le linee guida sull’eterologa approvate dai presidenti delle Regioni lo scorso settembre. Nelle linee guida si prevede che la fecondazione eterologa sia gratuita o si ottenga dietro pagamento di un ticket, ma con dei paletti rispetto all’età delle donne riceventi, che devono essere in età potenzialmente fertile. Tale trattamento è inoltre stato inserito nei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) e sarà dunque erogato dal Servizio sanitario nazionale. Tuttavia, la mancata delibera ufficiale, rilevano i tecnici, rappresenta di fatto uno stop all’attuazione della fecondazione eterologa nella maggioranza delle Regioni». E ancora: «I figli dell’eterologa made in Italy saranno per metà stranieri» comincia un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera (Eterologa. Caos nelle Regioni sull’importazione; stranieri?!). Ma il dato importante è il seguente: «Un pacchetto di ovociti importati, incluso il trasporto, costa da 2800 e 3500 euro, a carico della coppia committente che deve inoltre pagare il ticket per l’eterologa (circa 200 euro). A conti fatti, sembrerebbe più conveniente espatriare in cliniche estere».
ETEROLOGA
 
BANCHE ESTERE, COSTI
A Firenze Il policlinico di Careggi […] ha, primo in Italia, emanato una delibera che rende possibile l’acquisizione da banche estere di gameti per i trattamenti di procreazione assistita eterologa. La delibera prevede lo stanziamento di un fondo a tal fine pari a 650 mila euro l’anno. Le tariffe a carico dei pazienti per i trattamenti di eterologa sono invece già state fissate dalla Regione Toscana nei mesi scorsi» (Eterologa, da Firenze via libera a gameti da banche estere, la Repubblica, 31 gennaio 2015). Qui le indicazioni dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, dove si ricorda che la donatrice non ha diritto a un compenso: «L’art. 12 comma 6 della Legge 40/2004 vieta la commercializzazione dei gameti. La donazione di gameti è gratuita, la donatrice non può essere in alcun modo remunerata, né potrà esistere una retribuzione economica, né potrà essere chiesto alla coppia ricevente alcun contributo per i gameti ricevuti». In Liguria «Almeno centotrenta coppie in lista d’attesa. Aspettano e sperano, un giorno, di avere un figlio, ma per un anno dovranno rassegnarsi, non perché la coda è lunga, ma perché non ci sono donatrici. Nemmeno una donna e soltanto quattro uomini che si sono dichiarati disponibili» (Eterologa, 130 coppie in attesa. Ma per un anno non si parte, Il Secolo XIX, 2 febbraio 2015).
 
DONARE, VENDERE
«Prevedere un ‘premio di solidarietà’» potrebbe essere un modo per dirlo senza dirlo esplicitamente, per rimanere in bilico tra donazione e vendita (o meglio, per mantenere l’aspetto della donazione avvicinandosi di fatto a una vera e propria vendita). Possiamo domandarcelo ogni volta che ci sono rimborsi spese o altre analoghe espressioni per doni di sangue, tessuti o organi. La legge 40, come abbiamo visto, vieta la commercializzazione perciò le strade percorribili sono solo quelle tortuose e ambigue. Prima o poi forse si finirà per discuterne in modo meno sotterraneo. Alcune questioni sarebbero comuni alla donazione/vendita di organi. La premessa da cui si parte è la stessa: la richiesta del bene è superiore alla sua disponibilità. E anche molte delle domande che andrebbero affrontate: possiamo vendere il nostro copro o alcune delle sue parti, ed è diverso a seconda dell’invasività della donazione? Come si stabilisce l’invasività (cioè, esiste una valutazione oggettiva e una soggettiva)? Sarebbe immorale vendere un ovocita? E un rene? Al già complicato problema dell’equa distribuzione delle risorse sanitarie si aggiunge quindi la domanda: siamo sicuri che sarebbe immorale permettere la commercializzazione dei gameti? E siamo sicuri che dovrebbe rimanere illegale?

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