Perché Erdogan non aveva bisogno di inventarsi un autogolpe

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-07-18

Tra giornalisti che si auto-intervistano e teorici del complotto che si chiedono “cui prodest?”, le prove a sostegno della teoria del golpe come di un piano concepito da Erdogan per restare al potere non reggono. Soprattutto perché il Presidente di potere ne aveva molto anche prima. A sufficienza da mettere in atto negli ultimi tre anni di un piano di epurazione di tutti gli ufficiali “infedeli”

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C’è stato o non c’è stato un golpe in Turchia? A quanto pare sono in molti a credere che gli eventi a cui abbiamo assistito in mondovisione nella notte tra venerdì 15 e sabato 16 luglio siano in realtà il frutto di un piano concepito dal Presidente turco Recep Tayyip Erdogan per consolidare il suo potere. Un falso golpe quindi, un autogolpe dell’esito del qualche Erdogan sarebbe stato – secondo questa teoria – fin troppo sicuro che non avrebbe avuto il risultato sperato dagli ufficiali alla guida delle forze golpiste. A quanto pare c’è chi sostiene, con un livello di certezza davvero invidiabile viste le circostanze, che quella di questi giorni in Turchia sarebbe solo una messinscena organizzata proprio dal Presidente turco. Un colpo di stato organizzato da Erdogan (o quanto meno un evento sul quale aveva il pieno controllo). Come avrete capito siamo dalle parti del false flag.

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Come non dare l’idea di essere un uomo forte e saldamente al comando

Erdogan si è organizzato tutto da solo?

Una storia affascinante che ci racconta di un Erdogan abile giocatore di scacchi in grado di tendere una serie di trappole ai suoi oppositori per attirarli allo scoperto e far credere loro che un colpo di stato avrebbe avuto buone probabilità di successo. Ma in realtà è stato Erdogan stesso che ha organizzato il tutto. Secondo altri invece il Presidente non sarebbe intervenuto così direttamente ma avrebbe preferito “lasciare fare”, sicuro com’era che il tentativo non sarebbe stato coronato da successo. Il guadagno – politico – derivante da questo tessuto di inganni e doppi inganni è evidente: Erdogan ha mostrato all’opposizione (e alla comunità internazionale) quanto sia forte l’appoggio popolare nei suoi confronti. Tutti abbiamo visto i video dei cittadini turchi che in strada sfidavano l’esercito e riconquistavano la sede della televisione di stato. Ed in effetti la popolazione si è mossa dopo che il Presidente turco aveva lanciato un appello al popolo via Facetime diffuso dalla CNN turca. In buona sostanza Erdogan sarebbe stato a conoscenza dell’esistenza di un complotto, di un piano per destituirlo e avrebbe lasciato correre. A guidare i teorici dell’auto-complotto c’è – ironia della sorte – un’auto-intervista di Antonio Ferrari sul Corriere della Sera che, come nella più marzulliana delle tradizione, si fa le domande e si dà le risposte (tutto vero signori). Eccone un estratto:

Innescata da chi?
«Non mi stupirei che la miccia sia stata accesa dallo stesso Erdogan o dai suoi fedelissimi».
Vuoi dire che potrebbe essere un «golpe fasullo»?
«Esattamente. Le mie fonti turche hanno sostenuto questa possibilità».
E il viaggio aereo di Erdogan nei cieli d’Europa?
«Temo che qualcuno, compreso qualche collega, abbia confuso Erdogan con Ocalan. Il leader del Pkk Abdullah Ocalan, che ho intervistato nella valle della Bekaa, fu cacciato dalla Siria e vagò nei cieli in cerca di asilo politico, prima d’essere catturato dai turchi e condannato all’ergastolo.Pensate possibile che Erdogan lanci un appello al popolo invitandolo a scendere nelle strade e di proteggere il Paese, mentre vola su Francoforte, pronto a scendere a Berlino per inginocchiarsi davanti a Merkel supplicando asilo politico? E magari, dopo il no di Merkel, pronto a virare su Londra per comprendere le intenzioni della neopremier May? Ma per favore, solo a pensarci mi vien da ridere. Amici e colleghi, questo è il risultato di non conoscere ciò di cui si parla, magari sbraitando scemenze in un salotto televisivo».
Quindi, secondo te, dov’era il presidente?
«In vacanza, a Marmara. È salito sull’aereo diretto ad Ankara, poi ha preferito dirigersi a Istanbul, avendo saputo che c’erano migliaia di persone ad attenderlo, assonnate ma festanti. Fine del golpe, quattro ore dopo. Ma per cortesia, siamo seri finalmente».
Per te, insomma, è quasi una farsa?
«Se non ci fossero i morti, direi di sì».
Ma a chi ha giovato questo minigolpe, come lo hai chiamato?
«A Erdogan. È molto più forte. Magari spera di avere i voti per cambiare la Costituzione, e trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale».

Ma per quanto avvincente, la storia di Erdogan che mette a rischio la propria presidenza e la propria vita solo per dimostrare di essere “l’uomo forte” del Paese non sembra essere così probabile. In primo luogo si tratta di congetture. Anche Ferrari, che ha “amici in Turchia che lo tengono aggiornato” non porta prove o documenti a sostegno della tesi dell’auto-attentato. C’è inoltre da rilevare che anche seguendo la logica che Erdogan sapesse il rischio che il golpe riuscisse – seppur minimo – c’era. Il Presidente infatti non poteva essere sicuro al 100% che i militari che hanno tentato il colpo di stato per quanto fossero una minoranza delle forze armate turche non riuscissero a ottenere il sostegno di altri reparti che inizialmente non erano coinvolti. Un rischio davvero troppo grande, che ci restituisce il ritratto di un Erdogan come un folle scommettitore più che come un raffinato stratega. E poi quale raffinato stratega, per di più se desideroso di mostrarsi saldamente al comando nonostante un golpe in atto, lancerebbe un appello tramite cellulare da una località sconosciuta dando l’idea del topo in trappola? Il tutto mentre il suo primo ministro, Binali Yildirim, è riuscito tranquillamente ad annunciare che c’era un golpe in atto e ha continuato a twittare tutta la notte gli aggiornamenti.
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Quello che non torna nella teoria dell’auto-golpe

Ed è questo fatto che mostra un altro aspetto del “minigolpe” ovvero la scarsa organizzazione. Il che è un dato di fatto molto particolare vista la gloriosa tradizione dell’esercito turco nell’organizzazione dei colpi di stato. Non solo le forze messe in campo dai colpisti erano davvero esigue (si parla di circa duemila militari schierati sul terreno) ma i golpisti hanno dimostrato di non saper come condurre un golpe “di successo”. In primo luogo – sottolinea Edward Luttwak – non hanno saputo neutralizzare le forze militari lealiste, impedendo loro di schierarsi al fianco di Erdogan. In secondo luogo non sono state in grado di catturare e bloccare il Presidente, lasciandogli il campo relativamente libero per chiamare a raccolta i suoi sostenitori. Gli insorti non avrebbero avuto, fin dall’inizio, le risorse per fare tutto questo, e si potrebbe spiegare così come mai l’aereo di Erdogan abbia potuto volare tranquillamente nei cieli turchi senza essere intercettato dall’aviazione. Più che un colpo di stato è sembrato il tentativo fallito di fare una rivoluzione. I golpisti non sono riusciti a prendere il controllo dei mezzi di comunicazione. Non hanno interrotto l’erogazione di energia elettrica per lasciare “al buio” i sostenitori del Presidente e hanno agito senza un vero e proprio piano. I carri armati non hanno affatto intimorito la folla e dai video delle dirette di venerdì notte si vedeva chiaramente come anche le raffiche di mitra sparate sopra la folla di manifestanti non riuscissero ad avere alcun effetto deterrente. Certo, questo può far pensare ancor di più che si sia trattato di una farsa, di una messa in scena ma non tiene conto di due cose: i golpe possono fallire (e non per questo essere “finti”) e soprattutto di come Erdogan in questi anni abbia sistematicamente epurato i vertici militari dai possibili oppositori.

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Vignetta da: Socialisti Gaudenti

Lo dimostra anche il fatto che il Governo avesse già pronta una lista di tremila oppositori. Lista che non è la prova che il golpe è una messinscena ma che invece è in continuità con quello che è stato il modo di agire di Erdogan in questi tre anni. Di fatto quindi l’esercito turco – una volta tradizionale difensore della democrazia kemalista e della Turchia laica – aveva già le unghie spuntate dai continui interventi del Presidente per assicurarsi che nessuno lo avrebbe disturbato. Del resto più che perdere tempo ad organizzarsi un auto-attentato Erdogan sembra averlo impiegato proficuamente a garantirsi che un eventuale golpe non avrebbe avuto possibilità di riuscita. Il che visto il piano di riforma islamica del Paese era un’eventualità – questa sì – prevedibile. E l’ha fatto non tanto facendo credere alle forze ribelli di aver qualche possibilità di vittoria come nel migliore di film di Jason Bourne ma eliminando pian piano gli ufficiali “più scomodi”. Resta infine da notare come venerdì notte non si sia vista per strada la società civile che si oppone ad Erdogan. Il gruppo di ufficiali che ha guidato il tentativo di colpo di stato non solo non è riuscito a conquistarsi alleati all’interno delle forze armate ma non è nemmeno stato in grado di coinvolgere quella metà del Paese che non gradisce la presidenza Erdogan. In attesa che vengano portate fuori le prove che Erdogan si è organizzato un golpe (no, dire “chi ci guadagna di piùnon è una prova) domanda da farsi quindi è un’altra. Al di là delle pochezze logistiche e di pianificazione perché il golpe è fallito? Perché in strada c’erano solo sostenitori dell’AKP? A quanto pare i militari non hanno fatto i conti che la società turca non è più quella del 1980 (anno dell’ultimo golpe militare) e che i metodi per cambiare la guida del Paese sono altri.

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