Enrico Rossi: così il governatore della Toscana studia da leader nazionale

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-08-08

Critica Renzi, ma anche la minoranza. E pensa che la rottamazione fosse necessaria per Bersani e D’Alema. Ma il suo PD è identitario e di sinistra. E a differenza del premier non ha paura di combattere le battaglie difficili

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Enrico “Il Rosso” studia da leader nazionale? Da quando il governatore della Toscana Rossi ha deciso di presentarsi in televisione il suo secondo mandato in Regione si sta configurando sempre di più come un trampolino di lancio per un approdo futuro alla politica nazionale. Con una data in mente: il 2017, quando si tornerà a decidere il segretario nazionale del Partito Democratico. E un possibile antagonista forte: quel Nicola Zingaretti reduce dall’esperienza della provincia e oggi infilato nel marasma di una Regione Lazio sconvolta da Mafia Capitale. Rossi invece di zavorre non ne ha. E sembra anche avere le idee chiare sulla sua piattaforma politica. Che non prevede, a differenza di quella di Renzi, la scomparsa della voce del leader da quei temi su quei temi su cui storicamente la sinistra soffre, come l’immigrazione. Per questo lo avete visto così spesso battagliare con Salvini e leghisti sull’invenzione dell’emergenza migranti, spesso con l’obiettivo di combattere la demagogia con i numeri, i dati, i fatti. Nel frattempo, racconta oggi Massimo Rebotti sul Corriere, si organizza:

Ha ampliato lo staff («ma tagliato i costi») con alcuni collaboratori che seguono la politica nazionale, ha intensificato i viaggi all’estero, incontrato in privato padri nobili della sinistra (da Alfredo Reichlin a Emanuele Macaluso) che gli avrebbero detto «Enrico vai avanti», ha iniziato a lavorare a un libro in cui parlerà del «modello Toscana» ma anche di Sud e lavoro, ha preso a sfidare Salvini sull’immigrazione. Vasto programma per uno che nei prossimi anni voglia fare solo il governatore. E infatti non è così. Rossi ora vuole intervenire «puntualmente»: «Sul caso Azzollini — esordisce — il Pd rischia un contraccolpo con l’opinione pubblica».
La critica a Renzi sui singoli punti è netta — «se Verdini diventa determinante è un errore drammatico» — ma il governatore non è antirenziano. Non lo è, quantomeno, nel modo ormai codificato (e un po’ prevedibile) della sinistra pd. Innanzitutto il pensiero di abbandonare il partito non lo sfiora nemmeno: «Extra Ecclesiam — ride — nulla salus» (al di fuori della Chiesa nessuna salvezza, ndr). E alla minoranza riserva giudizi sferzanti: «Il gioco di interposizione a Renzi non farà rinascere una cultura politica della sinistra». Insomma, una delle caratteristiche a cui sembra tenere di più è questa: né con Renzi né con i suoi oppositori.

enrico rossi foto con i rom
La foto di Enrico Rossi con i suoi “vicini di casa” rom, pubblicata sulla sua pagina Facebook alla vigilia delle elezioni in Toscana

Nel fare questo prima o poi entrerà in conflitto con il premier, ma non ha alcuna intenzione di appoggiarsi ai rottamati per delineare la sua politica, al contrario delle mezze figure che oggi fanno la guerra a Renzi per conto di Bersani senza avere uno straccio di esperienza politica e senza aver mai vinto un’elezione. E ha anche le idee molto più chiare sull’Europa e l’austerità.

Il rapporto con il premier è antico: prima conflittuale, poi più fluido. Pur appartenendo a un’altra generazione e cultura politica (ai collaboratori chiede di leggere e rileggere Gramsci, a volte li interroga) riconosce che Renzi «doveva fare ciò che ha fatto». E cioè chiudere il ciclo di D’Alema e Bersani: «Li ascolto sempre volentieri, ma ormai possono solo fare i formatori». Liquidati i vecchi leader, nell’attuale Pd, per Rossi, c’è comunque tanto che non va: «Il generico, il marketing, la democrazia emozionale». Pensa che l’idea del partito della nazione «alla lunga non terrà» e che anche il 40% delle Europee possa rivelarsi effimero, «un giorno c’è e un altro non c’è più, come si è già visto».
E quindi Rossi si candida, intanto «a contribuire a una ricostruzione» dei contenuti del Pd che, si capisce, ritiene ora parecchio evanescenti: «Avere un elettorato di riferimento, per esempio, è decisivo». Per lui la parola chiave resta socialismo: «La sfida è proporre qualcosa di antico, e di vivo, della sinistra in un modo adatto ai tempi». Se gli si fa notare che i socialisti europei sono rimasti senza voce nel braccio di ferro tra Merkel e Tsipras annuisce: «Schiacciati tra i custodi dell’austerità e i populisti di sinistra, c’è poco da stare allegri».

Enrico il Rosso, come lo chiama il Corriere, sarebbe un leader molto più credibile e temibile nel Partito Democratico rispetto a tutti gli attuali peones parlamentari che minacciano Renzi di votargli contro sul Senato. E proprio per questo il premier dovrebbe temerlo.

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