È davvero così facile comprare un'arma da fuoco negli USA? La risposta è sì

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-12-04

I killer di San Bernardino erano in possesso di un arsenale che avevano acquistato legalmente, così come altri mass shooter degli ultimi vent’anni. E poi qualcuno dice che non c’è un rapporto tra armi in circolazione e violenza

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Quello che è successo a San Bernardino fa tornare sul tavolo un problema tutto americano, quello della violenza correlata alla diffusione delle armi da fuoco. Al di là delle motivazioni che hanno spinto Syed Farook e Tashfeen Malik ad entrare armati di tutto punto all’interno dell’Inland Regional Center dove hanno aperto il fuoco sui presenti uccidendo 14 persone e ferendone 21 l’argomento che agita gli animi dei cittadini USA e soprattutto del Presidente Obama è la facilità con cui è possibile procurarsi armi in America.

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L’infografica del Corriere della Sera sulle armi usate nella strage di San Bernardino (fonte: Corriere della Sera)

Quali armi sono state usate nell’assalto al centro per disabili?

Perché, al contrario dei terroristi che hanno colpito Parigi a gennaio e lo scorso 13 novembre, la coppia che ha dato l’assalto al centro per disabili in California aveva acquistato legalmente le armi utilizzate nella strage. E si tratta di un arsenale non da poco; due fucili d’assalto (uno Smith & Wesson M&P e un DPMS Panther Arms) due pistole (una Smith & Wesson una Llama) tutte comprate legalmente. I due erano anche in possesso di 2500 proiettili calibro .223 per i fucili d’assalto (la polizia ne ha trovati 1400 all’interno dell’auto usata per la fuga) e 2200 proiettili calibro 9 per le pistole. Il Los Angeles Times riferisce che le due pistole erano state acquistate presso l’Annie’s Get Your Gun, un negozio di armi di Corona che si fa pubblicità presentandosi come un “family-friendly gun store“. Secondo la fonte del L.A. Times i due fucili invece sarebbero stati acquistati in un altro negozio, non da Farook o da sua moglie ma – forse – da un suo precedente coinquilino. Erano stati modificati e quindi resi “illegali”? Non sembra, perché è vero che la legge Californiana proibisce la detenzioni di fucili d’assalto semiautomatici in grado di utilizzare caricatori rimovibili “ad alta capacità” (questo perché se un caricatore può essere cambiato con facilità aumenta la rapidità e la potenza di fuoco dell’arma) il che significa che per ricaricare l’arma chi la utilizza deve inserire uno a uno i proiettili.  Ma è anche vero che per la legge dello Stato della California un caricatore non è considerato “rimovibile” se per staccarlo dall’arma deve essere usato uno “strumento” o di un attrezzo apposito. È però possibile acquistare fucili d’assalto dotati del cosiddetto “bullet button“, un piccolo pulsante che consente il rilascio del caricatore e che deve essere attivato tramite la punta di un proiettile, che diventa quindi “l’apposti strumento” per rimuovere legalmente il caricatore vuoto e consentire di inserirne un altro. Oltre a questo arsenale legale e ai giubbotti antiproiettile nell’abitazione dei due sono state trovate 12 “pipes bombs”, ordigni esplosivi artigianali. Lo stesso tipo di bombe lanciate dal SUV durante il folle inseguimento per le strade della California. Ma è stato con le armi che hanno portato a termine il loro piano omicida, durante la sparatoria all’Inland Regional Center sono stati esplosi 65/75 colpi d’arma da fuoco (a proposito di quelli che parlano di precisione chirurgica nell’assalto), altrettanti ne sono stati esplosi durante la fuga (le forze dell’ordine, dice il conteggio ufficiale, hanno sparato 380 proiettili). Il profilo dei due killer è quello di persone perfettamente integrate nella società statunitense, con un buon lavoro e che al contrario dei giovani delle banlieue francesi non nutrivano motivi di risentimento apparente nei confronti della comunità nella quale vivevano. È anche in virtù del loro profilo “normale” che hanno potuto comprare le armi? In America in fondo, è il refrain di questi giorni, è molto facile acquistare legalmente un’arma da fuoco. E se andiamo a guardare la storia delle sparatorie più recenti notiamo che la maggior parte dei killer possedeva regolarmente le armi che ha usato. Mother Jones ha analizzato 62 mass shootings (sparatorie nelle quali sono state coinvolte e ferite più di quattro persone) avvenuti tra il 1982 e il 2012 (qui la lista aggiornata al 2015) ed è emerso che in 49 casi gli assassini avevano comprato legalmente le pistole o i fucili utilizzati.

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Fonte: Mother Jones

Anche il New York Times ha pubblicato un’analisi dettagliata dove emerge che nei casi più famosi degli ultimi tempi tutti gli individui che hanno aperto il fuoco su persone inermi avevano pienamente titolo di possedere un’arma da fuoco.
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Il rapporto tra armi in circolazione ed omicidi

In questi giorni in Italia è ancora forte l’eco di casi di cronaca di legittima difesa e di morti ammazzati mentre cercavano di rubare in casa d’altri. C’è stato chi, come il leghista Buonanno, ha proposto addirittura un bonus-armi per incentivare l’acquisto di pistole per la difesa personale e della proprietà privata. Succede quindi che quanto avviene negli USA venga strumentalizzato per dire, ad esempio come fa Libero quest’oggi, che non è vero che la diffusione delle armi da fuoco è causa di maggiori omicidi. La tesi di costoro è che i criminali le armi da fuoco le possono comprare illegalmente. È vero. Ma è anche vero che la criminalità non ha necessariamente sempre bisogno di pistole e fucili. Prendiamo ad esempio il caso del Giappone dove c’è una delle leggi più restrittive al mondo in materia di detenzioni di armi: sorprendentemente il numero di omicidi correlati all’uso di armi da fuoco è molto basso. Si potrà obiettare che questa correlazione non prova un rapporto di causa-effetto tra il numero di armi in circolazione e il numero di morti, però c’è anche questo studio del Harvard Injury Control Research Center che mostra che nei paesi più ricchi (quindi parliamo della “nostra” parte di mondo) più armi ci sono in circolazione, ovvero più è facile procurarsene una legalmente, maggiore è il numero di omicidi perpetrati con armi da fuoco. Certo, in gioco entrano anche altri fattori, ad esempio le differenze culturali tra i differenti paesi. La società giapponese è profondamente diversa da quella statunitense, così – per tornare a casa nostra – quella svizzera (il modello citato a torto da Salvini come esempio perfetto) è decisamente diversa da quella italiana. Il che non equivale a dire che gli svizzeri sono “migliori di noi” ma che il tessuto culturale e sociale è differente. Questo è uno dei motivi per cui paesi diversi – anche se vicini – hanno leggi (e codici penali diversi) pensiamo ad esempio al famoso caso della Norvegia che non contempla l’ergastolo in caso di omicidio. Insomma la relazione tra la diffusione di armi e omicidi è quanto meno complicata e quindi ognuno, come appunto fa Libero, può citare statistiche senza tenere conto delle singole specificità e spiegare che – ad esempio – il Brasile per spiegare che lì di armi registrate legalmente ce ne sono poche ma di morti per colpi d’arma da fuoco ce ne sono molti di più. Per cercare di capire la relazione tra diffusione delle armi e l’aumento della violenza correlata non basta guardare solo certi dati, è necessario un approccio multifattoriale che – escludendo gli episodi legati alla criminalità organizzata – tenga in considerazione la diffusione della cosiddetta cultura della violenza, il livello di povertà, di disoccupazione o di inclusione sociale. In America poi c’è il problema che non sempre è richiesto più di un controllo della fedina penale e del “medical record” del richiedente. Insomma, legalmente o meno, entrare in possesso di un’arma negli USA è molto, troppo, facile.

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