Diritto, giustizia e riconciliazione

di Tommaso Giancarli

Pubblicato il 2016-04-07

Stando alle cronache ufficiose e ai sussurri che si odono per i corridoi del vasto edificio di Piazzale Clodio, è capitata l’altro giorno al Tribunale di Roma una vicenda, in qualche modo, curiosa: al momento infatti di concludere il processo contro un malvivente, reo confesso di abigeato, abuso d’ufficio, aggiotaggio e di moltissimi altri reati …

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Stando alle cronache ufficiose e ai sussurri che si odono per i corridoi del vasto edificio di Piazzale Clodio, è capitata l’altro giorno al Tribunale di Roma una vicenda, in qualche modo, curiosa: al momento infatti di concludere il processo contro un malvivente, reo confesso di abigeato, abuso d’ufficio, aggiotaggio e di moltissimi altri reati con altre iniziali, il giudice, sul punto stesso di leggere la sentenza di condanna, si è bloccato.
I carabinieri in servizio in aula, temendo un malore, si sono subito avvicinati al giudice ammutolito; ma questi, prima con un gesto della mano, poi afferrando il microfono e iniziando un discorso sempre più accorato, ha rivelato i motivi del proprio esitare: era lì lì per dannare l’imputato, ha detto il magistrato, quando d’improvviso si è ricordato di una sera di primavera di tanti anni fa, a quella discoteca grossa al Portonaccio, e lui che era andato lì (sì, ci era andato apposta) per vedere la Gnometto Band… E io che sono andato a vedere la Gnometto Band al Qube, e ci sono andato volontariamente, con che diritto, ha continuato il giudice, con che diritto mi arrogo la facoltà di discernere il bene dal male e di sanzionare quest’ultimo? A seguito di queste commoventi parole, l’aula intera si è sciolta, e tutti, a turno, sono saliti al microfono, a confessare che anche loro, più volte, sono andati in quella discoteca o in un altro luogo del genere o comunque si sono tuffati di testa nell’imbarazzo, e come parlavano si sentivano subito più leggeri; e la brutale sessione di giustizia cieca si è perciò trasformata in un momento più alto e nobile di riconciliazione di tutti con tutti e di ciascuno con se stesso.
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Solo l’avvocato Colacchione, originario di Roma Nord e munito di enorme nodo della cravatta ma di anima piccolissima, non ha capito che diavolo stesse succedendo e ha preso la parola per chiedere la nullità del procedimento; acciuffato e giudicato sul posto secondo il Codice di Guerra, si trova ora al distretto militare di Chieti, addetto a girare gli arrosticini per il pranzo dei gradi superiori.

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