Digital Tax: cos'è e chi paga la nuova tassa di Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-09-15

L’annuncio a Otto e Mezzo del presidente del Consiglio: «I grandi player dell’economia digitale mondiale come Apple e Google hanno un sistema per cui non pagano le tasse nei luoghi dove fanno business». E allora ecco l’ok alla proposta di Scelta Civica

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Dopo aver aspettato per due anni una legge europea, dall’1 gennaio 2017 immaginiamo una digital tax che vada a colpire con meccanismi diversi, per far pagare tasse nei luoghi in cui sono fatte transazioni e accordi”. E’ l’annuncio che il premier Matteo Renzi ha fatto ieri sera a Otto e mezzo parlando della cosiddetta “Google tax”. ”I grandi player dell’economia digitale mondiale – ha spiegato Renzi – che per me sono dei miti, come Apple e Google, hanno un sistema per cui non pagano le tasse nei luoghi dove fanno business: allora noi siccome stiamo aspettando da due anni che ci sia una legge europea abbiamo deciso di attendere tutto il primo semestre del 2016 attendendo l’Ue, ma da questa legge di stabilità già immaginiamo una digital tax che vada con meccanismi diversi da quelli immaginati nel passato a far pagare le tasse nei luoghi dove vengono fatte le transazioni e gli accordi, un principio di giustizia sociale. Non si arriverà a cifre spaventose, non basteranno a risollevare l’economia del Paese ma è una questione di giustizia”, ha rimarcato Renzi.
 
DIGITAL TAX: COS’È E CHI PAGA LA NUOVA TASSA DI RENZI
A spiegare come funzionerà la nuova tassa ha pensato il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, che come segretario di Scelta civica rivendica che il suo partito sulla materia ha presentato una proposta di legge, a firma di Stefano Quintarelli, illustrata al premier nell’incontro di mercoledì scorso. “Non si può continuare ad avere una situazione per la quale imprese che fanno rilevanti profitti in Italia -spiega l’esponente dell’esecutivo- pagano imposte quasi inesistenti. Soprattutto in questa fase in cui andiamo a ridurre in modo significativo le imposte alle imprese, alle famiglie e ai lavoratori italiani è fondamentale recuperare da chi in questi anni ha avuto modo di non pagarle affatto o di pagarle in misura infinitesimale rispetto ai profitti sviluppati nel nostro Paese. Senza però aggiungere nuove tasse, semplicemente creando i presupposti perché la disciplina oggi inequivocabilmente applicabile a chi fa business materiale in Italia possa applicarsi anche chi, pur non essendo fisicamente stabilito in Italia, fa in modo continuativo e rilevante business digitale in Italia”. La nuova norma – spiega ancora il sottosegretario all’Economia – dovrebbe basarsi sui paradigmi della continuità e della significatività prevedendo l’assoggettamento al regime fiscale italiano per i soggetti non residenti che realizzano transazioni digitali con una continuità di sei mesi e una significatività in termini di fatturato pari ad almeno 5 milioni annui. In alternativa viene invece prevista una ritenuta alla fonte sulle transazioni del 25%. Inoltre, prosegue ancora Zanetti, si tratta di una misura che va ad agire “sul reddito. Non si va a toccare la disciplina Iva in quanto quest’ultima è normata a livello comunitario”. E, rimarca il sottosegretario al Mef e segretario di Sc, si tratta di una “misura fondamentale: non è possibile che imprese che fanno rilevanti profitti in Italia paghino imposte pressoché inesistenti”.
 
UN MECCANISMO ANTIELUSIVO
Alternativa al meccanismo sulle transazioni, da parte di chi opera in questi ambiti, è la dichiarazione di stabile organizzazione in Italia, come è il caso di Amazon che paga regolarmente le tasse nel nostro paese. Oppure può sottoscrivere un accordo con il fisco utilizzando lo strumento del ruling internazionale. Altrimenti scatterebbe la ritenuta. E, rimarca il sottosegretario al Mef e segretario di Sc, si tratta di una “misura fondamentale: non è possibile che imprese che fanno rilevanti profitti in Italia paghino imposte pressoché inesistenti”. Secondo Zanetti la norma potrebbe portare 2 o 3 miliardi di maggiore gettito. C’è da ricordare che una prima proposta di digital tax venne fatta da Francesco Boccia del Partito Democratico, e fu affondata all’epoca proprio da Renzi.

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