Dieci miliardi per Renzi posson bastare?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-06-12

I costi degli interventi promessi per gli anni 2017 e 2018 e non ancora finanziati a bilancio

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Enrico Marro e Federico Fubini sul Corriere della Sera oggi riepilogano il computo e i costi degli interventi promessi dal governo Renzi tra 2017 e 2018: gli interventi non sono ancora finanziati sul bilancio 2017 o 2018. Tra questi c’è la flessibilità in uscita sulle pensioni che dovrebbe costare 0,7 miliardi il primo anno, il taglio strutturale sul costo dei contributi per i lavoratori dipendenti, che vale 2,5 miliardi, il bonus da 80 euro alle pensioni minime che vale 2,3 miliardi, il sostegno alla povertà per mezzo miliardo, gli aumenti per gli statali e le forze dell’ordine per altri 2,5 miliardi e la riduzione dell’aliquota intermedia Irpef che costa ,1,5 miliardi l’anno. Il totale è di dieci miliardi.

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I progetti di nuovi interventi del governo Renzi (Corriere della Sera, 12 giugno 2016)

Spiega il Corriere:

Il governo dovrà fare delle scelte. Nello staff di Renzi si succedono le simulazioni su come distribuire tutte le idee del premier nell’arco di due manovre, quella per il 2017 e quella per il 2018 (sempre che, ovviamente, l’esecutivo superi l’esame del referendum costituzionale e la legislatura arrivi al termine naturale tra due anni). Due i principali scenari ipotizzati. Il primo e forse più plausibile prevede un percorso più prudente nel 2017 e a maggiore impatto nel 2018, anche in vista delle elezioni politiche. Per l’anno prossimo, oltre al taglio dell’imposta regionale sulle imprese dal 27,5 al 24% (già coperto) e alle altre misure per le piccole e medie aziende (Il decreto “Finanza per la crescita 2” sarà presto varato dal Consiglio dei ministri, al costo di 150 milioni), ci sarebbero le misure sulla flessibilità nell’età della pensione e il semplice décalage degli sgravi contributivi temporanei sulle assunzioni a tempo indeterminato (quelle fatte nel 2017 godrebbero dello sconto massimo di 3.250 euro per 12 mesi, con un costo di un centinaio di milioni). Questa sarebbe una manovra limitata, il cui impatto sul deficit non supererebbe il miliardo. Poi nel 2018 si farebbe il resto, magari impegnandosi per legge subito al taglio delle aliquote Irpef nell’anno dopo e sperando che una vera ripresa dia finalmente al governo più margine di manovra.
Alla fine deciderà Renzi e sicuramente il premier ha preso in esame anche un secondo scenario. Quello più audace: anticipare al 2017 il taglio all’Irpef per i ceti medi. In (piccola) parte potrebbe essere finanziato da una risistemazione del bonus degli 80 euro dopo che 1,4 milioni di persone hanno dovuto restituirlo. La revisione della struttura del bonus dovrebbe permettere di distribuire meglio le risorse in proporzione al reddito familiare. Oggi in una famiglia in cui marito e moglie guadagnano 26 mila euro lordi l’anno ha un bonus per 160 euro netti al mese, mentre una famiglia con un solo reddito da 28.500 euro non riceve niente. Certo intervenire sull’Irpef e magari sul cuneo fiscale nel 2017 significa spingere il deficit verso il 2,3% o 2,4% del Pil nel 2017. Già solo lo scenario «prudente» lo porta verso il 2% e forse oltre, ben più di quanto concordato con Bruxelles. Nella Commissione l’ultima trattativa con l’Italia sulla «flessibilità» dei conti (cioè, su un maggiore disavanzo) ha lasciato cicatrici ancora fresche. Andarle a toccare può produrre reazioni imprevedibili.

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