Decommissioning: l'addio impossibile dell'Italia al nucleare

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-04-22

Ancora in cerca di un deposito per le scorie delle centrali smantellate. Con costi in bolletta pari a 5 miliardi

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La parola chiave è decommissioning, ovvero quella procedura di smantellamento di centrali e siti nucleari retaggio del passato atomico dell’Italia. Ovvero Bosco Marengo, Saluggia, Trino, Caorso e gli altri enti che custodiscono ancora i ricordi radioattivi della stagione chiusa con il referendum che vide l’addio all’atomo. Repubblica, in un articolo a firma di Giuseppe Caporale, riepiloga oggi lo stato dell’arte. Nell’infografica che vedete qui sotto c’è il cronoprogramma approvato negli anni precedenti per la chiusura di centrali e siti e il suo differimento a data più o meno da destinarsi: nove anni di ritardo per Bosco Marengo, sedici per Saluggia, diciotto per Trino e così via.
centrali nucleari italia
 
Un ritardo che si traduce in maggiori oneri in bolletta per i consumatori pari a 5 miliardi di euro. E parte dall’impossibilità di trovare un sito adatto per il deposito delle scorie e dei rifiuti del nucleare:

I ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico che avrebbero dovuto rendere note le sedi selezionate per ospitare il deposito, hanno rimandato tutto ancora una volta, ma solo per un paio di mesi. Giusto il tempo di effettuare «ulteriori approfondimenti». Poi, si darà inizio «all’ascolto » dei territori individuati da Sogin e Ispra (l’istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale) secondo una serie di criteri di «sicurezza». Iter che durerà altri quattro anni e mezzo. E se alla fine un territorio sarà definitivamente scelto, sarà soprattutto conseguenza delle sollecitazioni arrivate da un altro Stato, la Francia, che vuole riconsegnare all’Italia (non oltre il 2025) i rifiuti nucleari ad alta pericolosità mandati oltralpe ormai nel lontano 2006. Rifiuti che sono stati “riprocessati” e che per altro ci sono costati quasi un miliardo di euro (insieme all’altra parte del “riprocessamento” avvenuto in Inghilterra). Di certo,  apagare il conto dei cinque miliardi in più saranno ancora una volta gli italiani, attraverso la bolletta (3 euro l’anno ad utenza).
E l’altro paradosso è che nell’eterna attesa, le quattro ex centrali nucleari di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina, Garigliano (Caserta), l’impianto di Bosco Marengo(Alessandria), e le strutture di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera) da 27 anni sono state «congelate», disattivate certo, ma aperte. Con tanto di personale, direttori di sede, servizi di pulizia e perfino la costante manutenzione delle aree verdi intorno agli impianti. Non si sa mai. E mentre gli anni passano, anche gli sprechi fioccano: come i costi per una sede lussuosa della Sogin a Mosca con rimborsi faraonici per il personale in missione. In totale, quasi 5 milioni di euro sui quali ora è stata avviata una indagine interna ancora in corso. La stessa società è anche sotto inchiesta da parte della procura di Milano per aver affidato un appalto per lo smaltimento dei rifiuti nucleari al gruppo Maltauro, finito poi nel ciclone della prima fase dell’inchiesta su Expo.
 

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