Così l'isteria da quarantena può aiutare Ebola

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-11-01

Le storie sugli infermieri fermati anche con test negativi possono costituire un disincentivo a partire per i volontari che combattono l’epidemia. E così il virus può avere la meglio in Africa e arrivare lo stesso in Europa e in America

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Ci sono stati nove casi di Ebola negli Usa: e tutti (tranne uno) si sono risolti bene. È il dato di fatto da cui parte Charles M. Blow che sul New York Times descrive l’effetto boomerang dell’«isteria» con cui il Paese sta affrontando la crisi. Nel mirino la «quarantena obbligatoria» imposta da alcuni governatori anche in presenza di test negativi, che diventa, nell’analisi del NYT, un disincentivo per il personale medico a partire per l’Africa: «Iniziative irrazionali prese per controllare la diffusione del virus a livello locale potrebbero contribuire a diffonderlo a livello globale». In che modo?
 
L’ISTERIA ISTITUZIONALE DA EBOLA
Il miglior modo per combattere un’epidemia, argomenta Blow, è restringere il suo focolaio. Oggi il focolaio di Ebola è focalizzato in tre stati africani: da lì, o dai paesi limitrofi, sono arrivati i malati che hanno poi contagiato altre persone negli Stati Uniti come in Europa. Il problema è che l’Africa rimane oggi il focolaio ideale per le malattie come Ebola, a causa della mancanza di strutture sanitarie adeguate a combattere le epidemie. Soprattutto manca il materiale umano. Ovvero medici ed infermieri che conoscano le migliori procedure scientifiche per combattere il virus. Ma chi va in Sierra Leone a combattere l’Ebola ci va come volontario di Emergency o Medici Senza Frontiere, come il medico aostano o l’infermiera del Maine. Non a caso entrambi hanno protestato per la quarantena che è stata inflitta dalle autorità del Maine e del New Jersey e dall’Italia pur in presenza di un primo test negativo per Ebola: in questo modo si agisce in maniera antiscientifica, visto che oltre al test né l’infermiera né il medico manifestavano i primi sintomi, e si è contagiosi soltanto quando i sintomi si manifestano. Ma soprattutto, così si disincentiva il personale sanitario a partire per l’Africa: sapere che al ritorno si finirà come minimo 21 giorni in quarantena, e a volte senza motivo, può rappresentare un disincentivo a partire. E sarebbe un bel problema. Perché, come argomenta Vox, in realtà c’è una sola cosa di cui c’è bisogno per fermare la crisi da Ebola.

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L’epidemia attuale di Ebola e i casi accertati ad ottobre 2014 (infografica di Vox.com)

DI COSA C’È BISOGNO PER FERMARE EBOLA
Per fermare Ebola c’è bisogno di medici che sappiano curare Ebola. Gino Strada, di cui parla proprio Vox, sta per aprire un ospedale da 100 posti letto per Ebola in Sierra Leone. Ha tutte le forniture di cui ha bisogno, non gli manca niente, l’ospedale sarà operativo in quattro mese. Ma il problema è che rischia di diventare pieno di malati e scarso di medici. «Il personale è un fattore di criticità», dice Strada, «per fornire a un paziente cinque o sei ore di assistenza medica bisogna avere 100 infermieri e 10-15 medici». Ma sono difficili da trovare. Quello di Emergency non è un problema unico, anzi. Si cercano volontari tra cubani, inglesi, italiani, perché gli esperti dicono che c’è bisogno di personale insieme a stanziamenti ed attrezzature: a poco servirebbe avere finalmente un vaccino per Ebola se non ci fosse personale in grado di somministrarlo nei focolai. E questo è ciò che sta accadendo adesso. Anche a causa dei medici e degli infermieri infettati dal virus che non ce l’hanno fatta nei mesi precedenti. Ieri la Banca Mondiale ha stanziato altri 100 milioni di dollari per combattere Ebola: serviranno proprio a trovare un maggior numero di operatori sanitari stranieri: servono cinquemila tra medici e operatori sanitari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha anche detto che ha bisogno di un aumento di 20 volte del personale sanitario (20.000 dello staff nazionale e 1.000 internazionali) per soddisfare la domanda sul territorio.
Come è strutturato un centro di contenimento in Africa (fonte: Washington Post)
Come è strutturato un centro di contenimento in Africa (fonte: Washington Post)

IL VOLONTARIO SCORAGGIATO
E la polemica sulla quarantena che si è scatenata negli Usa potrebbe costituire un disincentivo alla partenza. Ne è convinta Lina Moses, epidemiologa alla Tulane University, alla quale arrivano ogni giorno richieste di partire per tornare in Africa a combattere Ebola. Ma le dice di essere preoccupata del panico crescente e dello stigma che accoglie chi ritorna dalla Sierra Leone o da altri paesi colpiti dall’epidemia. «Penso che sbatterli in quarantena sia un insulto», dice lei a Vox. L’isteria da quarantena può aiutare Ebola. Il panico è amico del caos.

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