Cosa c'è dietro la scomparsa delle frutterie romane?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-12-22

Davvero gli stranieri ottengono le licenze con troppa facilità? E che dire dell’argomento della concorrenza sleale? Secondo un esponente di Noi con Salvini c’è del marcio nelle frutterie romane. Vediamo

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Come mai a Roma ci sono così tante “frutterie” gestite da stranieri che hanno soppiantato i “negozi tradizionali”? A sollevare la questione è Alessandro Basso, attivista romano di Noi con Salvini, il partito con il quale il Capitano della Lega 2.0 sta tentando di far dimenticare quanto la Lega 1.0 (e quella degli elettori del Nord) continui a detestare tutto quello che sta sotto il Pò e a coltivare il sogno dell’indipendenza della Padania. Basso è particolarmente preoccupato della facilità con cui gli immigrati ottengono le licenze (dimostrando scarsa conoscenza della legge in materia) e della concorrenza sleale degli esercenti di origine straniera.
alessandro basso frutterie romane stranieri - 1
In un post su Facebook Basso se la prende con i “cinesi, bangladini e nordafricani” che aprono attività commerciali molto rapidamente e vanno così a sostituire i vecchi negozi dei quartieri. Le domande di Basso sono tante, riguardano le licenze, la qualità della merce venduta e tutta una serie di argomentazioni da “noi italiani lo facciamo meglio e soprattutto legalmente” che non sono sempre così vere come si vorrebbe credere. Si tratta insomma della solita tiritera del padroni a casa nostra che ha fatto la fortuna della Lega 1.0. A Salvini è bastato allargare un po’ il concetto di “casa”, estendendolo a tutta Italia, ed ecco qui la nuova Lega.

Come fanno i Cinesi, Bangladini e Nordafricani a sapere quali negozi sono in difficolta’, ad aprire cosi’ in fretta attivita’, ad ottenere licenze in tempo record, ad essere aperti 24 ore al giorno, a fare prezzi ridicoli ( vi siete mai chiesti se la merce che state acquistando sia di qualita’?). Perche’ possono occupare merciapiedi , manti stradali senza rispettare la legge sull’occupazione del suolo pubblico? perche’ sui loro prodotti nn c’e’ il paese di provenienza? Rispettano le norme igenico-sanitarie? Avete mai visto ispettori della ASL al loro interno? Come fanno ad appendere cartelloni ovunque senza che nessuno faccia segnalazioni, pagano le tasse? E’ normale vivere all’interno dei negozi? Se le merci dei Cinesi sono contraffatte allora perche’ la Finanza nn li fa chiudere? Qualcuno potrebbe spiegarmelo? NN vi sembra concorrenza sleale a sfavore del commercio Italiano? Sosteniamo il made in Italy e i commercianti Italiani, combattiamo la contraffazione delle merci. Basta sotenere silenti la colonizzazione dei nostri quartieri.

L’argomento numero uno: come fanno ad avere le licenze?

Intanto bisogna sfatare un mito, gli stranieri non hanno alcuna agevolazione rispetto agli italiani quando si tratta di aprire un esercizio commerciale. Se ottengono così in fretta le licenze molto probabilmente è perché le acquistano dagli italiani che le detenevano fino a quel momento. Altre volte invece l’italiano rimane titolare della licenza commerciale e dell’attività che viene però affittata al commerciante straniero. Tutte cose che succedono anche tra italiani, senza creare scandalo o sconcerto. Ci sono poi alcune attività, che in seguito alla liberalizzazione delle licenze stabilita dalla legge Bersani del 2006, non hanno alcun bisogno di autorizzazione o di una licenza: sono quelle per i negozi la cui superficie è inferiore ai 250mq che vengono definiti “esercizi di vicinato” (guardacaso proprio i tipi di negozi in oggetto). Da alcuni anni è sufficiente inviare allo Sportello Unico per le Attività Produttive del Comune la SCIA, nella quale si dichiara l’inizio dell’attività (qui il link alla Camera di Commercio di Roma, ad esempio). Ecco dove sta il “trucco” che  Alessandro Basso si guarda bene da dire, in modo da poter suggerire che le licenze ottenute a tempo di record sono frutto di un’operazione truffaldina da parte degli esercenti di origine straniera. Lo stesso si può dire dei locali dei negozi storici. I proprietari erano tutti italiani, c’è chi ha deciso di vendere, chi ha deciso di dare in affitto. Non si può certo pensare (o velatamente suggerire) che gli stranieri abbiano occupato abusivamente questi spazi. Anche riguardo ai controlli di Municipale e ASL non è vero che non ce ne siano, ad esempio ad inizio dicembre la Polizia e la ASL in seguito ad un’ispezione a Ostia ha sequestrato 1.500 kg tra frutta e ortaggi e fatto sgomberare i marciapiedi occupati – quelli sì – abusivamente dai negozianti, prevalentemente di nazionalità egiziana.

L’argomento numero due: la qualità della merce e i prezzi

Andiamo poi al discorso della qualità, qualcuno nei commenti riporta un articolo del Tempo nel quale un negoziante capitolino spiega che i prezzi sono bassi perché la merce è di bassa qualità, visto che viene acquistata quella di seconda scelta. È possibile, ma ricordiamo che viene messa in vendita ai mercati ortofrutticoli legalmente quindi può essere legalmente acquistata e rivenduta (altrimenti il problema è alla fonte, ovvero al Centro Agroalimentare di Roma). Facciamo finta che sia vero, facciamo finta anche che non esista la possibilità per i negozianti stranieri di acquistare all’ingrosso mettendosi assieme e poter strappare un prezzo più vantaggioso. La domanda che vorrei fare a Basso è questa: chi acquistava negli anni passati la merce di “seconda scelta” o di bassa qualità? E chi la rivendeva? Non essendoci stati molti fruttaroli stranieri non è difficile immaginare chi. I prezzi però erano diversi. Chi truffava chi allora? Riassumento, è concorrenza sleale nei confronti dei commercianti italiani? No, perché queste norme valgono per tutti coloro che desiderano aprire un’attività commerciale in Italia, che siano di origine straniera o italiana non fa assolutamente alcuna differenza. C’è da notare che prima della liberalizzazione delle licenze commerciali invece quello che accadeva era che coloro che detenevano le licenze avessero una posizione di privilegio rispetto a quelli (italiani) che volevano aprire un esercizio commerciale. Quella della concorrenza è un chiodo fisso dei leghisti/salviniani, che racconta la storia degli imprenditori italiani  come dei panda in via d’estinzione sbranati dalle tigri cinesi, ma che dire invece di quando la Lega (pochi mesi fa) aveva proposto di togliere la licenza commerciale agli albergatori italiani che ospitavano (legalmente) i migranti?

L’argomento numero tre: i negozianti stranieri sono troppi

Il rapporto del Censis 2014 “Una prospettiva di vigore per uscire dalla depressione” segnalava un aumento del 16,5% rispetto al 2009 degli imprenditori nati all’estero che hanno un’attività in Italia per un totale che sfiora le 380mila unità. Dal 2009 al 2014 sono aumentati del 21,3% i titolari stranieri di esercizi commerciali al dettaglio (ovvero un totale di 120.626 esercizi commerciali gestiti da stranieri) mentre i negozi degli italiani sono diminuiti del 3,3% . Complessivamente in Italia l’imprenditoria straniera rappresenta l’11,7% del totale, e stiamo parlando di imprese legali non di sommerso, quindi di gente che lavora e paga le tasse e che spesso assume anche: i dati Istat del 2014 mostrano che sono 85.000 gli stranieri che lavorano in proprio e hanno dipendenti (italiani e/o stranieri). Il Censis evidenzia che Roma gli esercizi commerciali dei quali sono titolari degli stranieri sono in totale 7.000 (10.000 nella provincia). Niente a che vedere con Pisa dove dove i negozi gestiti da immigrati rappresentano il 35,4% del totale, Catanzaro (il 34,5%), Caserta (32,7%), Prato e Pescara con quote superiori al 30%. L’indagine del Censis rivela anche che a comprare nei negozi “stranieri” sono soprattutto gli italiani:

acquistano con regolarità in tali negozi oltre 2,6 miloni prodotti alimentari, oltre 2,3 milioni frutta e verdura, quasi 3,5 milioni prodotti casalinghi, oltre 2,3 milioni sapone e detersivi. Oltre il 62% degli intervistati si recano presso i negozi di prossimità gestiti da migranti perché i prezzi sono convenienti, il 34% perché vi si trovano prodotti altrove introvabili e per oltre il 22% per la comodità di orario (non a caso sottolineato dalle donne con oltre il 24%)

Insomma gli acquirenti italiani trovano nei negozi gestiti da stranieri una maggiore convenienza e disponibilità di orari. Niente di illegale. Evidentemente gli esercenti italiani preferiscono puntare sulla qualità e sulla selezionata (da prezzi) clientela. In compenso da più parti si fa notare come le attività imprenditoriali gestite da non-italiani stiano facendo da traino all’economia. Del resto è vero che gli immigrati già contribuiscono al bilancio del paese come fa notare la Fondazione Leone Moressa che ha “scoperto” che gli immigrati danno molto al nostro paese, in termini di tasse e contribuiti versati con un attivo di 3.9 miliardi di euro:

I contribuenti immigrati rappresentano oggi l’8,6% del totale e dichiarano 45,6 miliardi di euro. In testa ci sono i romeni (con oltre 6,4 miliardi), seguiti da albanesi (3,2), svizzeri(2,8) e marocchini(2,4). Le donne sono meno della metà: 43,9%(rispetto al 48% delle italiane), visto la presenza di molte straniere inattive. Per alcune nazionalità dell’Est Europa, impiegate prevalentemente come colf e badanti, si raggiungono invece percentuali ben più alte: è il caso dell’Ucraina (le donne contribuenti sono il 75,9%) e della Moldavia (60,7%). Non è tutto. Nonostante la crisi, i redditi dichiarati dai nati all’estero sono aumentati dell’1,8% nell’ultimo anno. Il record di crescita? Quello dei cinesi (più 8%) e moldavi (più 7,3%).

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