Le conseguenze economiche di Stefano Fassina

di Guido Iodice

Pubblicato il 2014-10-06

L’ex viceministro dell’Economia si scaglia contro Renzi e Padoan, ma quando arriva il momento di premere il grilletto, vacilla. Le sue proposte risultano più timide delle azioni del già moderatissimo e filo-rigorista governo francese. E così rischia di fare un passo avanti per farne due indietro

article-post

In un interessante articolo pubblicato sul suo blog ospitato dall’Huffington Post, l’ex viceministro all’Economia Stefano Fassina analizza l’ultima Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF). Fassina vi trova degli spunti interessanti, ad esempio quando la Nota ammette che le previsioni (nazionali e internazionali) sul PIL si sono rivelate pesantemente sbagliate («in media, a ottobre dell’anno t, si è sovrastimata la crescita dell’anno t+1 di 1,8 punti percentuali»), salvo poi produrne altre che si riveleranno altrettanto errate. O, ancora, quando la Nota rileva la sottostima dei moltiplicatori fiscali. Scrive Fassina:

[La Nota] Riconosce che il moltiplicatore della spesa corrente è significativamente superiore al moltiplicatore delle entrate, ossia che un taglio di tasse finanziato con un corrispondente taglio di spesa ha effetti recessivi sull’economia.

E fin qui, si può essere d’accordo con l’esponente della sinistra PD.
 
PIÙ TIMIDO DI HOLLANDE E VALLS
Ciò che sorprende, sono le conclusioni che Fassina trae dalla sua critica. Secondo l’ex sottosegretario, Renzi dovrebbe sforare nel 2015 il parametro del 3% del deficit/PIL per arrivare “a ridosso” del 4% e poi rientrare nei vincoli europei solo l’anno successivo. Perché solo il 4% (anzi “quasi” il 4%)? La Francia prevede il 4,4% nel 2015, pur avendo avuto una caduta del PIL molto minore della nostra. Noi avremmo quindi bisogno di qualcosa in più, non in meno. Fassina risulta quindi meno colomba fiscale della coppia Valls-Hollande, quella che rischia di far finire la Francia in mano ai neofascisti. Inoltre, sarebbe bene approfittare dei bassi tassi nominali, i più bassi nella storia, indebitandoci maggiormente, magari spingendo un po’ in su l’inflazione per ridurre i tassi di interesse reali.
 
LE CONTRADDIZIONI DI FASSINA
Ma ciò che lascia maggiormente perplessi è l’impiego delle risorse aggiuntive pensato da Fassina:

1. ridefinire in relazione alla composizione del nucleo familiare e estendere il bonus Irpef alle Partite Iva e ai pensionati;
2. Finanziare adeguatamente la revisione degli ammortizzatori sociali;
3. potenziare interventi urgenti contro la povertà attraverso il “sostegno all’integrazione attiva”;
4. allentare per almeno 5 miliardi all’anno il patto di stabilità interno per consentire ai Comuni di far andare avanti i cantieri per le piccole opere opere;
5. pagare i debiti alle imprese in conto capitale, concentrati nel settore edilizio oramai al collasso.

Il punto 1, l’allargamento del bonus di 80 euro, non sortirebbe effetti maggiori di quelli già visti. Vale a dire circa zero. Questo perché, come Fassina stesso riporta nello stesso articolo, il moltiplicatore delle tasse è irrisorio rispetto a quello della spesa. Se la gente vuole risparmiare, mettergli 80 euro in più in tasca cambia poco. Lo stesso dicasi per il TFR in busta paga.
Il punto 2 e il punto 3, per quanto socialmente meritevoli di attenzione, hanno effetti sul PIL molto modesti. L’articolo di Fassina è pieno di critiche al “neoliberismo” ma gli ammortizzatori sociali non sono affatto keynesiani. Gran parte dei liberisti – col neo o senza – del suo stesso partito, o transitati da esso come l’avversario prediletto di Fassina, Pietro Ichino, sottoscriverebbero l’idea di “revisionare gli ammortizzatori sociali”, allargandoli, e di potenziare gli interventi contro la povertà.
Va meglio con il punto 4 e 5, sebbene la speranza che degli interventi decentrati possano fornire un boost al reddito nazionale è sovrastimata almeno come il PIL nelle previsioni del governo. Ci vorrebbe ben altro. Qualcosa di molto più grande e centralizzato.
 
UN PASSO AVANTI E DUE INDIETRO
Da quando ha lasciato il governo Letta, Fassina ha cercato di ritagliarsi uno spazio da battitore libero. Eppure stenta ad essere persino questo. Prima qualche abboccamento con l’insignificante area noeuro, che pure si permette di trattarlo a pesci in faccia dall’alto di non si sa bene quale successo, poi il lancio di qualche segnale di allarme (“il Titanic Europa sta per affondare” era il tema di un seminario organizzato dalla sua area), poi l’annuncio di un “piano B” che non si è mai visto, passando per il tentativo di portare Renzi dalla sua parte dopo la schiacciante vittoria dell’ex sindaco di Firenze alle primarie. Un “vorrei ma non posso”, dietro l’altro. Tentennamenti e contraddizioni comprensibili, perché fare politica significa non isolarsi, e Fassina non vuole giustamente spaccare la già risicata Sinistra del PD. E tuttavia questi continui tentativi di equilibrismo sembrano riecheggiare il titolo di un famoso saggio di Lenin: “Un passo avanti e due indietro”.  Ma non vogliamo essere troppo critici. Fassina è il meglio che si possa trovare nel PD. Ed è proprio questo ciò che preoccupa.

Potrebbe interessarti anche