Come Renzi vuole riformare l'articolo 18

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-09-12

E perché questo non ferma la crescita delle imprese

article-post

Indennizzo invece che reintegro. Questa è la mossa che Matteo Renzi vuole fare per sciogliere il nodo politico della riforma dell’articolo 18. Repubblica, in un articolo a firma di Roberto Mania, ci spiega però com’è la situazione in maggioranza e dentro al Pd riguardo la proposta:

Ed è tra le righe di questa disposizione che si apre lo scontro nella maggioranza sull’articolo 18. Perché i centristi di Scelta civica e la destra dell’Ncd propongono di superare definitivamente l’istituto del reintegro, mantenendolo solo per i licenziamenti discriminatori, e introdurre per tutti un indennizzo monetario il cui ammontare è destinato a crescere con l’anzianità di servizio aziendale del lavoratore interessato. Una via che Palazzo Chigi considera eccessivamente costosa ma che, tuttavia, con l’introduzione di un sistema di tutele più ampio rispetto all’attuale, così come prevede il Jobs Act, potrebbe effettivamente rappresentare la base per costruire la soluzione. Il nodo è però politico. Il Pd, al Senato e soprattutto alla Camera, dove in commissione lavoro, a cominciare dal presidente Cesare Damiano, è foltissima la rappresentanza dei deputati di formazione Cgil, vede questa ipotesi come fumo negli occhi. E rilancia con un modello diverso: contratto a tutele crescenti, con i soli primi tre anni di assunzione privi della garanzia dell’articolo 18. La conferma del lavoratore dopo i tre anni di prova verrebbe “premiata” con un significativo sgravio fiscale. Resterebbe in generale la funzione deterrente della norma dello Statuto dei lavoratori, e, in particolare, a parte i primi tre anni di sospensione, rimarrebbe inalterata nella formula soft introdotta con la legge Fornero di due anni fa.

Come abbiamo peraltro già ricordato, le evidenze empiriche disponibili non sono tuttavia in grado di evidenziare l’emergere di un “effetto soglia”, ovvero di una discontinuità nella distribuzione delle imprese per dimensione di addetti intorno alla soglia dei 15 dipendenti, discriminante secondo il dettato dell’articolo 18.


Di questo dà ampia illustrazione un articolo di Giuseppe Marotta (Università di Modena e Reggio Emilia) che, presentando elaborazioni da dati Istat, mostra l’inequivocabile assenza di tale effetto a diversi livelli di disaggregazione dei dati: «Anche a un livello di indagine più fine – si veda il dettaglio per le imprese tra 10 e 20 dipendenti — sottolinea Marotta — secondo l’Istat si possono al massimo individuare ‘turbolenze’, in ogni caso non significative statisticamente, intorno alla soglia di 14-16 dipendenti. ‘Turbolenze’ analoghe inoltre si trovano in corrispondenza ai 21 e ai 31 dipendenti, valori questi che nulla hanno a che vedere con l’art. 18».
 

Potrebbe interessarti anche