Come cambiano le pensioni: il piano Poletti

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-09-03

Un assegno ridotto in modo progressivo dal 2% in su per chi lascia prima. E gli oneri da parte dello Stato

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Riemerso dalle polemiche sui numeri dell’occupazione, il ministro del Welfare Giuliano Poletti affronta un tema sempre spinoso: la riforma delle pensioni. E lo fa con una precisa presa di posizione riguardo la flessibilità — cioè la possibilità di lasciare il lavoro prima rispetto alla soglia fissata dalla Legge Fornero — che, secondo il ministro, non deve essere «a costo zero» per i conti dell’INPS. Ovvero: chi esce prima deve sì accettare un assegno più basso, insomma, ma ci deve essere un compensazione parziale da parte dello Stato. È un cambio di passo non da poco. Fino a due giorni fa il governo aveva sempre detto che la flessibilità si dovesse autofinanziare, senza toccare il portafoglio dello Stato. Non tutti nella maggioranza la pensano come Poletti. Ma quella del ministro non è una mossa isolata. Il ragionamento è in corso e alcune idee sono già sul tavolo. La vera novità sta nella prima ipotesi. Il Corriere della Sera riepiloga con tre infografiche come cambiano le pensioni.

Come cambiano le pensioni: il piano Poletti sul Corriere:

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La nuova soluzione avrebbe il vantaggio di ridurre il costo dell’operazione e quindi il volume delle coperture che il governo dovrà comunque trovare nella legge di Stabilità. Ma avrebbe senso anche dal punto di vista dell’equità, perché spingere soprattutto la flessibilità «minima», e cioè l’uscita di chi è comunque vicino al traguardo della pensione piena. Prima dell’estate il presidente dell’Inps Tito Boeri aveva quantificato l’intervento dell’ipotesi Damiano in 8,5 miliardi di euro. Una stima che, invece, secondo Damiano, è irrealistica (Corriere della Sera, 3 settembre 2015)

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Finora chi parlava di flessibilità si riferiva alla vecchia proposta di legge del 2013 di Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta, Pd. Secondo cui la pensione deve subire un taglio del 2% per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia normale, oggi fissata a 66 anni. La nuova ipotesi è che la percentuale del taglio sulla pensione non sia più fisso, sempre il 2% per ogni anno di anticipo. Ma cresca progressivamente con il numero degli anni di anticipo: per chi esce un anno prima il taglio è del 2%, per chi esce due anni prima del 5%, per chi anticipa di tre anni il taglio arriva all’8%. E così via (Corriere della Sera, 3 settembre 2015)

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Il ministro del Welfare Giuliano Poletti ha annunciato al Corriere che la famosa flessibilità sulle pensioni — cioè la possibilità di lasciare il lavoro prima rispetto alla soglia fissata dalla legge Fornero — non deve essere «a costo zero». Chi esce prima deve sì accettare un assegno più basso rispetto a quello pieno, ma ci deve essere una compensazione parziale da parte dello Stato. Fino a due giorni fa, invece, il governo aveva sempre detto che la flessibilità si dovesse autofinanziare e, quindi, lo Stato non dovesse mettere mano al portafoglio (Corriere della Sera, 3 settembre 2015)

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