Chi finanzia l'ISIS?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-11-18

La vendita di petrolio sul mercato nero è solo una delle fonti di guadagno per Daesh che incassa più denaro tramite furti ed estorsioni che da tutto il resto. Il Califfato è destinato a fallire economicamente?

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Quanto costa organizzare e portare a termine azioni terroristiche come quelle di Parigi? Chi fornisce ai jihadisti che operano sul “teatro di guerra” europeo le armi e il supporto finanziario per elaborare un piano che, secondo gli investigatori, era in preparazione da almeno nove mesi? La pista del denaro è una di quelle da seguire se si vuole cercare di limitare le capacità operative dell’organizzazione terroristica al di fuori della propria area di influenza. E certamente non è tutto qui perché i soldi all’ISIS non servono solo per colpire l’Occidente, ma anche per poter combattere e amministrare i territori occupati dagli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi in Siria, in Iraq e negli altri territori occupati.

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L’infografica del Corriere della Sera sui fondi a disposizione dell’ISIS e il costo per gli attacchi (fonte: Corriere della Sera 18/11/2015) Difficile che una Tokarev costi 1.000 euro, semmai un centinaio

Quanto costa il Califfato?

Come sempre non ci sono dati certi, solo informazioni incomplete che però lasciano immaginare che Daesh abbia a disposizione un’immensa quantità di denaro. Così tanto che viene considerata l’organizzazione terroristica più ricca del Mondo. Al punto che un anno fa si parlava del fatto che l’ISIS fosse in procinto di battere la propria moneta per “liberare” le popolazioni assoggettate al controllo del Califfato dalla tirannia satanica dell’usura. Se l’ISIS vuole essere uno Stato deve reperire infatti le risorse necessarie per il suo funzionamento le cui uscite principali riguardano il mantenimento dell’esercito di volontari, sia per quanto riguarda il vettovagliamento che per quanto concerne gli stipendi pagati ai combattenti in base al livello di esperienza e al numero di azioni militari portate a termine con successo. E per fare questo non basta certo la sola zakāt ovvero l’elemosina rituale versata dai fedeli musulmani e (teoricamente) redistribuita tra i meno abbienti. A inizio ottobre su Jihadology è stato pubblicato un resoconto finanziario, una sorta di bilancio per l’amministrazione della provincia di Deir az-Zor un’area della Siria che è sotto il controllo del Califfato dal luglio 2014 e dove tra il dicembre 2014 e il gennaio 2015 l’ISIS ha incamerato 8 milioni di dollari. Dai documenti si evince che la ripartizione dei guadagni dell’organizzazione è la seguente: il 27,7% proviene dalla vendita di petrolio e di gas, 23,7% dalle tasse imposte alla popolazione, il 3,9% dalla vendita di energia elettrica e il 44,7% dalla confisca di beni e proprietà a coloro che fuggono dalle aree occupate o che vengono scoperti a violare i precetti della legge islamica. In buona sostanza in una provincia dove il petrolio abbonda (è una delle regioni petrolifere più ricche della Siria, tra quelle in mano ai jihadisti di Al Baghdadi) la maggior parte dei guadagni proviene dall’acquisizione di proprietà private, ovvero da furti ed estorsioni. Per quanto riguarda le uscite, le spese principali (il 43%) riguardano i salari per i combattenti e quasi il 20% al mantenimento delle basi militari (siamo già a circa 5 milioni di dollari), ai quali va aggiunto un ulteriore 10% per il funzionamento della Polizia Islamica. Si vede bene quindi come la maggior parte del bilancio venga assorbito dalle spese militari e dall’esercizio del controllo poliziesco sui territori occupati.
 

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La provincia di Deir az Zor è al centro del territorio controllato dall’ISIS in Siria

Quanto vale la vendita del petrolio?

Naturalmente il documento va preso con le pinze, perché anche quelli dell’ISIS sanno come truccare un bilancio. Il dato che sembra emergere è che la vendita di petrolio non è la fonte principale di guadagno. Prendiamo ad esempio quanto ha incassato l’ISIS dalla vendita del petrolio di Deir az-Zor: si tratta di 66.433 dollari al giorno. Questo da uno dei pozzi petroliferi più ricchi tra quelli sotto il loro controllo. Secondo Jihadologist in base a questo conteggio non è possibile nemmeno lontanamente avvicinarsi alla cifra globale di 3 milioni di dollari al giorno (molto più probabilmente la cifra è tra 1 e 2 milioni di dollari)  derivanti dalla vendita di petrolio (alla Turchia, all’Iran e ad altri stati compiacenti dove viene introdotto di contrabbando) sparate da molti giornali in questi ultimi mesi. Secondo un’inchiesta pubblicata su Die Zeit prima del dicembre 2014 (quindi prima dell’inizio dei bombardamenti) l’ISIS era in grado di produrre 50.000 barili di petrolio al giorno in Siria e 30.000 in Iraq che venduti a 40 dollari al barile facevano effettivamente 3 milioni di dollari al giorno. Ma ora, dal momento che molte strutture di produzione sono state distrutte dai bombardamenti, la produzione totale non dovrebbe superare i 20.000 barili al giorno. Un dato che si traduce in un guadagno che oscilla tra i 360.000 e i 270.000 dollari al giorno e che sembra essere compatibile con quanto riportato da Jihadology. Secondo alcuni anche il prezzo di vendita “alla pompa” sarebbe decisamente inferiore, tra i 5 e i 10 dollari al barile.

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I beni confiscati dall’ISIS nella provincia di Deir az-Zor in un mese(fonte Vocativ.com)

Altre fonti di guadagno: furti ed estorsioni

L’ISIS è in grado di reperire i fondi in maniera molto diversificata. Con la caduta di Mosul nel 2014 è riuscita ad entrare in possesso di oltre 400 milioni di dollari rubandoli alle banche locali. Oltre a queste rapine in grande stile sul bilancio dell’organizzazione terroristica influiscono anche i proventi derivanti dal pagamento dei riscatti per i rapimenti. Non solo quelli di cittadini stranieri per i quali vengono chiesti e pagati riscatti di decine di milioni di dollari ma anche quelli dei famigliari delle persone più abbienti nei territori occupati, cifre più modeste, nell’ordine di trentamila o cinquantamila dollari ma che, in virtù della diffusione della pratica, generano un flusso di denaro consistente. Oltre a queste attività c’è anche la vendita di antichità e di beni preziosi, perché l’ISIS non distrugge tutto quello che incontra ma lo mette in vendita sul mercato nero. La situazione è quindi quella di uno “stato” fondato più sul furto, la razzia e l’estorsione (e l’imposizione di tasse che sono un’altra forma di ricatto) che sulla produzione e sulla vendita delle risorse naturali dei territori occupati. Se si torna a leggere il documento pubblicato da Jihadology si noterà come la “tassazione” generi un incasso pari a quello della vendita di petrolio. È evidente che il meccanismo con il quale Daesh si finanzia  è sostanzialmente simile a quello di qualsiasi altra organizzazione criminale di stampo mafioso, con la differenza fondamentale che le mafie non devono anche gestire e amministrare uno stato di circa sei milioni di abitanti (ed infatti l’ISIS destina una piccola parte delle risorse alle spese per la popolazione come ad esempio per il sistema sanitario). Una parte piccola, ma da non sottovalutare la giocano le donazioni che arrivano dall’estero, uno schema già utilizzato da Al Qaeda che faceva affidamento sulla “solidarietà internazionale” di coloro che credevano nella loro causa. Il sospetto è che la maggior parte di queste donazioni provenga dai paesi ricchi del Golfo, gli stessi che a parole sono alleati con gli USA. Secondo molti commentatori quindi la ricchezza di Daesh non è destinata a durare a lungo, anche perché dal punto di vista economico la situazione finanziaria è difficilmente sostenibile, soprattutto sul lungo periodo. Ma non è certo questo che impedirà ai jihadisti di tornare a colpire in Occidente, perché il costo di un’operazione come quella di Charlie Hebdo (20.000 dollari secondo il Corriere) è ancora alla portata. È il controllo del territorio che è costoso, non le singole azioni terroristiche che vengono pagate con gli spiccioli.

Isis: cos'è e perché dobbiamo averne paura
Come si finanzia l’Isis (infografica Corriere della Sera)

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