Carmelo Cocuzza, l'ex dipendente di Sigonella che ha fatto pignorare i beni del Governo USA

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-01-11

Per la prima volta l’amministrazione statunitense di una base militare in Italia deve rispettare la legge italiana. Un piccolo passo per Cocuzza, che deve ancora essere pienamente risarcito e reintegrato sul posto di lavoro, e un grande passo per la giustizia italiana

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Il 13 marzo 2016 con un servizio di Filippo Roma le Iene si sono occupate del caso giudiziario di Carmelo Cocuzza, ex dipendente della base di Sigonella licenziato 17 anni fa nell’agosto del 2000 con l’accusa di aver timbrato con il cartellino di una collega americana anche lei licenziata (ma reintegrata dopo 30 giorni). Ritenendo di essere stato licenziato ingiustamente Cocuzza ha intentato una causa contro il Governo USA. In tutti e tre i gradi di giudizio i tribunali italiani hanno riconosciuto le ragioni di Cocuzza dichiarando illegittimo il licenziamento e obbligando il datore al reintegro sul post di lavoro e alla corresponsione di un’indennità. In tutti questi anni però Cocuzza non è mai riuscito a ottenere il rispetto delle sentenze e della legge italiana da parte del  Governo statunitense.

Tre gradi di giudizio che per gli USA non hanno valore

Cocuzza infatti lavorava come vetrinista all’interno del centro commerciale “Navy Exchange”, il mall di proprietà del Governo USA situato all’interno della base aerea di Sigonella dalla quale decollano i giganteschi aerei senza pilota Global Hawk che vengono utilizzati dall’aviazione USA per il controllo delle coste africane e per la guerra al gruppo Stato Islamico. Con la sentenza della Corte di Cassazione – che ha dato ragione a Cocuzza –  la vicenda giudiziaria avrebbe dovuto arrivare a conclusione e l’ex dipendente della base avrebbe dovuto riottenere il suo lavoro. La Cassazione si era espressa a favore di Cocuzza nel 2014, ma nel corso degli ultimi due anni il “Navy Exchange” si è rifiutato di ottemperare ai termini della sentenza che prevedeva anche il versamento dei contributi previdenziali arretrati. A Marzo del 2016 tramite la sua legale, l’avvocato Concetta La Delfa, aveva avviato le pratiche per pignoramento risarcitorio: la Cassazione aveva infatti stabilito un risarcimento danni di 600.000 dollari a favore di Cocuzza, cifra che comprendeva tutte le retribuzioni maturate dal 2000 compresi appunto i contributi INPS e INAIL. Cocuzza che ha sempre definito “paradossale” la vicenda della falsificazione dei cartellini parla della sua battaglia giudiziaria come quella di Davide contro Golia. Quando però si era presentato con l’ufficiale giudiziario per procedere al pignoramento un ufficiale della base aveva detto che all’interno della base “non aveva alcuna autorità”. Il che naturalmente non è vero perché anche a Sigonella vige la legge dello Stato Italiano e non si tratta di un territorio straniero.

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Uno dei cartelli esposti da Cocuzza di fronte all’ingresso della base di Sigonella

Questo tipo di opposizione da parte dell’amministrazione militare all’applicazione di una sentenza dei tribunali del nostro Paese ha fatto parlare qualcuno di una forma strisciante di neocolonialismo, quasi che all’interno delle installazioni militari USA fosse tutto permesso o se non altro non sottoposto alla legge italiana. A proposito della vicenda all’epoca dalla CGIL avevano parlato di un possibile caso dipolmatico: «Si apre un caso diplomatico si tratta di discriminazioni e del non rispettare una sentenza italiana in territorio italiano».
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Carmelo Cocuzza (primo da destra) protesta da mesi davanti alla base militare di Sigonella

Il pignoramento per un valore di 230 mila dollari

Ieri però, dopo molte proteste e dopo un sit in di fronte all’ingresso della base finalmente qualcosa è cambiato, e l’ufficiale giudiziario ha potuto entrare in azione per eseguire il pignoramento di oggetti d’oro, gioielli, pietre preziose e orologi – valore complessivo che si aggira intorno ai 230 mila dollari – nel centro commerciale “Navy Exchange”. Il pignoramento è stato eseguito ieri: iniziato alle 10 e si è concluso alle 20, con momenti di tensione, alla presenza dei carabinieri di Sigonella. I beni sequestrati sono stati portati da una ditta di vigilanza nel Palazzo di Giustizia e consegnati al Tribunale. Saranno venduti per pagare parte del debito dell’Amministrazione statunitense nei confronti di Cocuzza che – formalmente dopo le sentenze – risulta anche essere ancora un dipendente della base. Attualmente però a Cocuzza è stato negato il reintegro sul posto di lavoro perché, “per motivi di principio e per non creare un precedente” la direzione del Navy Exchange si rifiuta di ottemperare a quanto stabilito dai giudici e dalla legge nr 98 del 1971. Eppure ieri un precedente, unico nel suo genere, c’è stato e il Governo USA ha dovuto riconoscere l’autorità della legge e delle sentenze della Repubblica Italiana. La battaglia legale di Cocuzza ha avuto una svolta, ma purtroppo dopo 17 anni siamo ancora lontani dalla conclusione della vicenda, questa volta la responsabilità non è della lentezza della giustizia italiana ma della volontà del Governo USA a non sottostare a quanto deciso dai tribunali.

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