Cosa cambia con la modifica all'articolo 13 dello statuto dei lavoratori

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-02-21

Una postilla cambia le regole del demansionamento aziendale: le imprese potranno variare unilateralmente (cioè senza il consenso del lavoratore) le mansioni in caso di modifica di assetti organizzativi

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Una modifica che è passata sotto silenzio, anche se sembra essere stata molto gradita dagli industriali. Il governo ha inserito una postilla nel decreto legislativo del Jobs Act che va a cambiare lo Statuto dei Lavoratori nell’articolo 13, che regolava le mansioni del lavoratore. Questa la vecchia formulazione del testo:

«Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

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Vignetta di Mauro Biani per Il Manifesto

COSA CAMBIA CON LA MODIFICA ALL’ARTICOLO 13 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI
Il Sole 24 Ore ha spiegato ieri che in base alla nuova postilla le imprese potranno variare unilateralmente (cioè senza il consenso del lavoratore) le mansioni in caso di modifica di assetti organizzativi, secondo una formulazione ben più ampia rispetto a quella di partenza, che forniva la possibilità alle aziende in caso di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale. In ogni caso, spiega il quotidiano di Confindustria, «l’attribuzione unilaterale a nuove mansioni non potrà scendere «sotto un livello di inquadramento» e non dovrà comportare «modifiche alla retribuzione in godimento» al momento del cambio dell’incarico». Quindi, un solo livello di inquadramento e con parità di redistribuzione. E poi:

La contrattazione collettiva, compresa quella aziendale, avrà comunque sempre la possibilità di individuare ulteriori ipotesi di modifica, anche in pejus, delle mansioni. Spazio anche a un rafforzamento normativo dei patti modificativi delle mansioni “certificati”, quelli cioè sottoscritti in sede protetta (essenzialmente sindacale o, finché rimarranno, presso le direzioni territoriali del lavoro). Qui ci si potrà accordare nel modificare le mansioni per tre motivi: «mantenimento dell’occupazione» (in sostanza per evitare il licenziamento), per «acquisire nuove professionalità» o per «conciliare al meglio vita e lavoro».
La possibilità di variare incarico per ragioni di salute (per esempio in caso di grave malattia) è sempre ammessa (come del resto accade già oggi). Inoltre, la “promozione automatica” scatterà dopo 6 mesi (e non più dopo 3 mesi), «salva diversa volontà del lavoratore».

Il demansionamento potra’ avvenire “solo di un livello” e «il salario non si tocca: l’azienda può cambiare la mansione ma senza toccare il trattamento economico ad esclusione di trattamenti specifici come l’indennità di turno», ha confermato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, in conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri di ieri.
 
IL MOBBING LEGALIZZATO?
La questione, passata un po’ sottotraccia, ha trovato poche voci critiche. Secondo Alberto Campailla, portavoce nazionale di Link-coordinamento universitario, il contratto a tutele crescenti «rottama il diritto del lavoro. Sarà quindi un risultato positivo per gli interessi del governo, non certo per i giovani o per il Paese. Liberalizza infatti i licenziamenti – spiega – ed estende, assieme alle nuove norme sul demansionamento, il ricatto a tutto il mondo del lavoro, in un contesto segnato da disoccupazione di massa e alti tassi di precarietà. La Nuova Aspi risulta del tutto insufficiente e non paragonabile all’universalizzazione degli ammortizzatori sociali o all’introduzione di un reddito di base: le risorse stanziate in Legge di Stabilità devono essere almeno raddoppiate e i criteri di accesso restano fortemente escludenti per centinaia di migliaia di precari e lavoratori autonomi». Alessandro Gilioli de L’Espresso è molto più critico, parlando di legalizzazione del mobbing:

In altre parole, per esempio, se siete un quadro o un impiegato e quale che sia la vostra funzione, da domani la vostra azienda può mettervi a fare le fotocopie.
È, in sostanza, la legalizzazione del mobbing, tema su cui in passato ho scritto due libri basandomi su casi reali e le cui dinamiche concrete quindi un po’ conosco. Una delle modalità del mobbing (non l’unica) avviene quando un dipendente poco gradito al capo diventa per questo suo obiettivo in azienda. Ciò può accadere per svariatissimi motivi – caratteriali, professionali, ma anche politico-sindacali o per rifiuti di avance sessuali – e fino a oggi l’articolo 13 impediva, nella più parte dei casi, che ciò si trasformasse in un demansionamento; quando avveniva, c’era la possibilità di ricorrere al magistrato.

In questo articolo del Sole di qualche tempo fa si parla di decisioni della Cassazione sul demansionamento.

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