Bruno Tinti sul Fatto spiega a Grillo che il suo regolamento non è democratico

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-01-07

«Il giudizio, per essere attendibile, deve essere indipendente e autonomo; e affidarlo a organi interni al partito esclude che abbia queste caratteristiche; men che meno se il ruolo della Cassazione viene affidato allo stesso Grillo che così diventerebbe padrone assoluto del partito», spiega il magistrato

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Mentre si lavora molto alacremente al grande ritorno di Beppe Grillo in tribunale, Bruno Tinti sul Fatto Quotidiano spiega a Beppe Grillo che il regolamento votato come codice etico per gli eletti del MoVimento 5 Stelle ha ottime intenzioni di partenza, ma pessima realizzazione d’arrivo visto che gli organismi precostituiti che dovrebbero valutare il comportamento dell’eletto sono interni al partito e quindi non hanno indipendenza e autonomia rispetto alla leadership:

In effetti ciò che i politici volontariamente trascurano è che le regole giuridiche si applicano al processo, non alla vita. Immortale è l’esempio proposto da Piercamillo Davigo: se vedo che un invitato a cena si mette in tasca le mie posate d’argento lo denuncio. Si avvierà un processo che si concluderà con sentenza definitiva e, fino ad allora, lui sarà tecnicamente “non colpevole”. Ma,nel frattempo, non lo inviterò certo di nuovo a casamia. Dunque, rimettersi alle sentenze giudiziarie ha il solo significato di rinviare a molti anni a venire le conseguenze politiche degli eventuali reati commessi. Da qui la seconda “scoperta” di Grillo, la necessità di un’autonoma valutazione del partito, affidata ad organismi interni precostituiti. Ed è quest’ultimo punto che rivela la distanza tra l’ideologia e la realtà.
Il giudizio, per essere attendibile, deve essere indipendente e autonomo; e affidarlo a organi interni al partito esclude che abbia queste caratteristiche; men che meno se il ruolo della Cassazione viene affidato allo stesso Grillo che così diventerebbe padrone assoluto del partito. Le sue ottime intenzioni siano dunque realizzate in modo da poter concretamente funzionare:un collegio di probiviri esterno (Rodotà, Zagrebelsky, tanto per citare personaggi in cui lui stesso ha fiducia). E niente Appello o Cassazione: qui non è questione di norme giuridiche; e comunque ogni grado di giudizio moltiplica solo le possibilità di errore: perché dovrebbero aver ragione i secondi(o terzi) giudici e non i primi? Ciò detto, resta il fatto che M5S ha il merito di aver spezzato l’ipocrisia del “ho fiducia nella magistratura, aspettiamo le decisioni dei giudici, sono innocente fino a prova contraria”: il rivoltante armamentario con cui i delinquenti politici difendono il loro fortino.

codice di comportamento m5s
Tinti quindi segnala a Grillo quello di cui già in molti si erano accorti: se tutto il potere viene lasciato nelle mani di Beppe è difficile che ci sia democrazia. Con ingenuità gli propone quello che sarebbe logico fare in queste situazioni: nominare un esterno con il compito di giudicare. Ma questo, forse Tinti non lo sa, equivarrebbe a togliere a Grillo il potere assoluto sulla sua proprietà, il M5S. Difficile che Beppe lo faccia spontaneamente. Più probabile è che finisca per essere obbligato dal tribunale.

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