BCC di Paceco: la prima banca commissariata per mafia e massoneria

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-11-29

L’istituto continua ad avere rapporti con il mafioso Filippo Coppola, e i suoi familiari. ‘U professuri’, già condannato nel 2002 per associazione a delinquere di stampo mafioso e figlio di Giacomo Coppola (detto Gino), a casa del quale nel 1996 si svolse, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, un summit tra Matteo Messina Denaro, Giovanni Brusca, e Nicola Di Trapani

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Ieri è stata posta sotto amministrazione giudiziaria la Banca di credito cooperativo “Senatore Pietro Grammatico” di Paceco (Trapani). L’amministrazione giudiziaria, che durerà sei mesi, prorogabili di altri sei, è stata affidata congiuntamente ad Andrea Dara e alla Price Water Cooper. Contestati ripetute violazioni della normativa antiriciclaggio, il mancato rispetto degli esiti delle ispezioni effettuate dalla Banca d’Italia nel 2010 e nel 2013 e soprattutto “indizi gravi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata”. Il provvedimento è stato eseguito dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Trapani su richiesta della Dda di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e condotte dai militari del nucleo di polizia valutaria, Francesco Mazziotta. Alla conferenza stampa presente anche il comandante provinciale della Guardia di Finanza, a Giancarlo Trotta. Si tratta di un provvedimento, ha spiegato Lo Voi, che scatta “quando di ritiene che una impresa possa essere coinvolta in contatti e attività con la criminalità organizzata”. L’istituto ha sede a Paceco e filiali anche a Marsala e Trapani.

BCC di Paceco: la prima banca commissariata per mafia e massoneria

Le attività investigative hanno tratto spunto dai rapporti che la Banca di credito cooperativo ‘Sen. Pietro Grammatico’ “ha intrattenuto e continua ad avere”, spiegano gli inquirenti, con il mafioso Filippo Coppola, e i suoi familiari. ‘U professuri’, già condannato nel 2002 per associazione a delinquere di stampo mafioso, ritenuto elemento di spicco di Cosa nostra nell’ambito della cosca mafiosa di Paceco – nonché figlio di Giacomo Coppola (detto Gino), a casa del quale nel 1996 si svolse, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, un summit tra Matteo Messina Denaro, Giovanni Brusca, e Nicola Di Trapani – è stato negli anni destinatario di diversi sequestri di beni e nel mese di aprile di una confisca emessa nell’ambito di un procedimento di prevenzione. «In quella banca comanda ‘u professuri», aveva avvertito Sinacori. Si riferiva a Coppola, chiamato con quel soprannome perché aveva insegnato in un Istituto tecnico, di cui era diventato anche preside. Spiega oggi Giovanni Bianconi sul Corriere:

C’è dunque un filo sottile che potrebbe unire questa vicenda all’ultimo grande latitante di Cosa nostra, Messina Denaro appunto, ricercato dal 1993. Più stretti, invece, sembrano i rapporti con la massoneria locale e la famiglia Coppola con le cinque filiali commissariate. Una delle quali, a Trapani, è stata diretta da un fratello de ‘u professuri. Che in precedenza era stato responsabile dell’ufficio fidi e rischi cioè quello che decide a chi dare i finanziamenti, nonché la loro consistenza e le condizioni. Tra le operazioni sospette — mai segnalate dalla banca — il prelievo di 120.000 euro in contanti fatto dalla cognata di un mafioso, poi divenuto collaboratore di giustizia; quando gli organismi di vigilanza ne sono venuti a conoscenza, la giustificazione è stata che la signora era stata «suggestionata dalle notizie sulla crisi dei mercati».
Oppure l’agevolazione concessa a un indiziato di estorsione e associazione mafiosa: aveva acceso un mutuo da 237.000 euro nel 2007, rinegoziato nel 2013 con l’autorizzazione a restituirne solo 135.000 in dieci anni. Sull’istituto di Paceco la Banca d’Italia ha effettuato due ispezioni, nel 2010 e nel 2013, terminate con prescrizioni stringenti tra cui la nomina di un nuovo consiglio di amministrazione. Tuttavia i pubblici ministeri e gli investigatori della Finanza ritengono che l’intervento sia stato eluso attraverso l’inserimento di alcuni «reggenti» non estranei alla vecchia gestione: due ex dipendenti, uno dei quali aveva guidato l’ufficio antiriciclaggio, ma si era ben guardato — secondo le risultanze dell’inchiesta — di mettere in luce le operazioni sospette.

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Ritenendo necessario sottoporre l’istituto di credito a un più ampio monitoraggio, sono stati quindi avviati ulteriori approfondimenti, anche utilizzando lo speciale software di analisi “Molecola”, implementato dal Servizio centrale investigazione criminalità organizzata della Guardia di finanza, nei confronti della compagine sociale, degli organi amministrativi e di controllo e della clientela, che hanno poi consentito di individuare, tra le migliaia di posizioni esaminate, ulteriori soggetti con precedenti attinenti alla criminalità organizzata, o persone a loro collegate, che hanno avuto, e che intrattengono tuttora, rapporti con la banca. Sulla base degli elementi emersi, sono state effettuate acquisizioni documentali e sentite persone informate sui fatti, attività che hanno permesso di far ritenere che il libero esercizio dell’attività bancaria fosse inquinato dalla criminalità organizzata. “Questo strumento – spiega la Guardia di finanza – previsto dalla legislazione antimafia, può essere attivato nei confronti di qualsiasi attività economica quando ricorrono sufficienti elementi per ritenere che il libero esercizio dell’impresa agevoli l’attività di persone nei cui confronti è stata applicata una misura di prevenzione o che siano sottoposte a procedimento penale per alcuni gravi reati, tra i quali l’associazione a delinquere di stampo mafioso”.

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