Banca Popolare di Vicenza: «Il primo bail in italiano»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-05-03

I piccoli azionisti gridano al bail in per la mancata quotazione dell’istituto di credito. Ma la decisione di Borsa Italiana non fa incassare anche 60 milioni alle banche advisor. Ora per loro rimane solo la via giudiziaria. E intanto si apre il caso Veneto Banca

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«Di fatto è il primo bail-in italiano», dice Davide Lunardon alla Stampa. Lui è uno dei tanti (oltre centoventimila) azionisti di Banca Popolare di Vicenza che dal 100% del capitale si troveranno in mano un misero 0,67% dopo che Borsa Italiana ha negato l’ammissione alla quotazione dell’istituto di credito e sancito di fatto Atlante come primo azionista. Grazie al suo intervento è stato evitato lo scenario peggiore: ricorda Morya Longo sul Sole 24 Ore che se la Banca Popolare di Vicenza non avesse concluso l’aumento di capitale (e senza Atlante non l’avrebbe chiuso di certo), oggi l’istituto sarebbe probabilmente in bail-in con conseguenze disastrose per i risparmiatori, per il Veneto e per l’intera Italia.

«Per i vecchi soci cosa c’è da sperare?», dice Renato Bertelle, presidente dell’associazione nazionale azionisti della Bpvi e avvocato di molti soci dell’istituto che hanno presentato esposti in procura per cercare di essere risarciti in tribunale. «Glielo dico io: per chi ha comprato le azioni a 62,5 euro non cambia niente, Borsa o non Borsa. Quei soldi non li rivedrà mai». Silenzio dall’Associazione Futuro 150, fondata da una serie di imprenditori e professionisti. Ma lo sfogo dei 119mila azionisti è sui social network. «Che vi aspettavate, un successo?», scrive Agostino Somma sulla pagina Facebook Azionisti Bpvi, che da mesi dà voce alla rabbia dei soci della Popolare. «Adesso tutti a casa!», scrive Moreno Torresan. «Ma non capite che se falliva almeno i ladri finivano in galera?», replica invece Elisabetta Gatto. «Atlante farà quello che deve fare – dice ancora Bertelle – Ristrutturerà, manderà a casa qualcuno. Non possiamo sapere niente ancora. Di certo chi ha perso tutto non poteva sperare di recuperare qualcosa con la Borsa».

Banca Popolare di Vicenza: «Il primo bail in italiano»

Gli attuali piccoli azionisti hanno comprato negli anni titoli di proprietà della banca spesso perché altrimenti l’istituto avrebbe smesso o non avrebbe iniziato a finanziarli. Le loro azioni un anno fa valevano 62 euro e 50 centesimi, ma con la crisi della banca sono cominciate le rettifiche del valore e loro non hanno mai potuto rivendere le azioni perché non esisteva un mercato. Il crollo si è arrestato con i titoli che hanno raggiunto un valore di 10 centesimi. Da un certo punto di vista quindi la quotazione avrebbe potuto restituire loro qualche piccolo spicciolo dell’intera somma persa, anche se Borsa Italiana ha spiegato ieri che lo scarso flottante non avrebbe consentito nulla di tutto ciò. Adesso però è certo che i 120mila non avranno alcun mercato dove rivendere (e anche i 6mila che avevano deciso di comprarne altre) non potranno farlo. La terza conseguenza la spiega sempre il Sole 24 Ore:

Infine c’è una terza conseguenza: dato che la Popolare di Vicenza resta fuori dalla Borsa, non è sottoposta alla normativa dell’Opa. Morale: se un giorno qualcuno volesse rilevare la banca (qualora fosse risanata), potrebbe accordarsi con Atlante e non dare nulla ai piccoli azionisti. Potrebbe lanciare un’Opa volontariamente, certo, ma non avrebbe alcun obbligo. Questi sono tutti diritti dei piccoli risparmiatori che sono venuti meno con la mancata quotazione in Borsa. Certo, nulla vieta ad Atlante di portare la banca a Piazza Affari in futuro. Ma questa è una storia ancora da scrivere

Il fallimento dell’aumento di capitale ha un impatto negativo anche per il consorzio di banche che si è occupato del collocamento di 1,5 miliardi e che non riceverà i 60 milioni pattuiti per l’operazione. La Popolare di Vicenza “è in sicurezza e l’importante è questo”, ha commentato l’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni. Quanto al fatto che l’istituto non andrà in borsa ®credo che sia abbastanza indifferente – ha spiegato Ghizzoni – l’importante è che la banca abbia capitale a sufficienza per poter lavorare tranquillamente e questo obiettivo è stato raggiunto”. Quanto all’andamento delle banche in borsa, il ceo di Unicredit ha detto: “Penso che sia poco chiaro il contenuto del decreto legge sui tempi di recupero dei crediti. Il mercato aspetta delle informazioni precise per poter valutare l’impatto di questo decreto tanto atteso. Ci sarà bisogno di alcune informazioni e poi la reazioni saranno positive perché sono comunque contenuti degli aspetti importanti e, secondo me, impatteranno sui tempi di recupero”.
banca popolare di vicenza

L’impatto sui piccoli risparmiatori e il caso Veneto Banca

Per i piccoli azionisti allora rimane aperta solo la strada dei tribunali. Con la speranza di rivedere qualcosa degli investimenti e la difficoltà nel dover provare di essere stati truffati o costretti ad acquistare. Adesso però si accende il faro su Veneto Banca. Con il dubbio che l’operazione possa fare la stessa fine dell’istituto berico cresce, anche se tra gli addetti ai lavori si ritiene che il mercato abbia una percezione migliore. Al di là dei problemi di natura giudiziaria, l’operazione di Montebelluna passa per un rafforzamento di capitale imposto dalla Bce di ammontare minore (un miliardo di euro) rispetto alla vicentina. Anche qui però l’obiettivo finale è quotare il gruppo a Piazza Affari (entro metà giugno). E quindi l’incognita riguarda il mercato: interverrà o no? Ci sarà un flottante di almeno il 25% per soddisfare il regolamento di Borsa? Di certo sullo sfondo c’è il veicolo lanciato da Quaestio Sgr, Atlante, che in tempi record ha raccolto 4,2 miliardi, e ha quindi le spalle abbastanza larghe per coprire interamente l’operazione senza intaccare quel 30% di risorse destinato all’acquisto dei crediti deteriorati in pancia alle banche italiane. In favore dell’operazione di Veneto Banca, inoltre, c’è la presenza di un vero e proprio consorzio di garanzia e non una sola banca, UniCredit, che si era assunta l’intero rischio scaricandolo poi su Atlante. Al momento però contatti ufficiali tra Quaestio e Banca Imi (Intesa Sanpaolo), a cui spetta in prima battuta la garanzia insieme ad altre nove banche (tra cui Ubs, SocGen, Credit Suisse e Citi), non ce ne sono stati. Per avviarli si attende che l’operazione entri nel vivo la settimana prossima, dopo l’assemblea dei soci di giovedì. Oggi si è notata comunque una prima apertura verso Atlante da parte di Intesa Sanpaolo dopo che il Ceo, Cristiano Carrus, aveva anticipato che non sarebbe servito. Carlo Messina ha detto che l’eventuale intervento “si vedrà fra qualche giorno” ma comunque “sono sempre fiducioso”. Tutti attendono quindi che parta la fase di pre-marketing per sondare gli investitori (tra l’11 e il 12). Sulla base delle risposte, la parola tornerà alla Consob per il prospetto e alla banca per fissare la forchetta di prezzo. Ad oggi il valore dell’azione, definito dal diritto di recesso dall’assemblea di dicembre per la trasformazione in Spa, è di 7,30 euro, ben lontano dai 39,5 euro di un anno fa. Un ulteriore taglio appare scontato visto che a questi valori varrebbe quanto la Banca Popolare di Milano.

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