Antonio Campo Dall'Orto e quella censura a Luttazzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-08-04

Gli inizi a Publitalia sotto l’egida del Biscione, l’amicizia con il renziano Gori, la guida di La7 e gli interventi alla Leopolda. Chi è il manager a cui il governo vuole affidare la RAI. E come andò quella faccenducola del Decameron e di Ferrara

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Secondo Matteo Renzi è «uno stimatissimo professionista, tra i più interessanti innovatori della tv italiana, un nome di altissimo valore che corrisponde ai criteri di qualità, autorevolezza e capacità ma vedremo». Intanto Antonio Campo Dall’Orto scalda i motori per arrivare a sedersi sulla poltrona di direttore generale della RAI, con la garanzia di diventare amministratore delegato quando la nuova governance dell’azienda sarà pronta e approvata dal parlamento. Ma chi è Antonio Campo Dall’Orto? Al suo attivo non ha certo soltanto le partecipazioni alla Leopolda del premier: la sua impresa più grande è certamente la fondazione di MTV Italia.
 
ANTONIO CAMPO DALL’ORTO E QUELLA CENSURA A DANIELE LUTTAZZI
51 anni, una vita a La7, sposato con l’attrice indo-tedesca Mandala Tayde e con due figli, Dall’Orto, laureato a Ca’ Foscari in economia e commercio, comincia in un’azienda di distribuzione di prodotti industriali prima di entrare con una borsa di studio al Master di Publitalia, la concessionaria di pubblicità del Biscione e vera palestra dei grandi manager berlusconinani. Da lì entra in Mediaset e lavora in area produzione sviluppando un ottimo rapporto con Giorgio Gori, renziano della prima ora e oggi sindaco di Bergamo. Il 1997 è l’anno chiave: diventa il capo di MTV Italia che ha cominciato a trasmettere nel Belpaese a settembre, con il ruolo, uguale a quello odierno in RAI, di direttore generale. Nel 1999 diventa amministratore delegato dell’intera area sud europea di MTV e porta il canale musicale anche in Spagna, Portogallo, Francia e Grecia. Torna con la poltrona di AD in MTV Italia che nel frattempo comincia a riscuotere i primi risultati di audience rosicchiando punti su punti del pubblico giovanile alle corazzate di quegli anni. Nel 2004 il salto alla tv generalista, quando viene nominato direttore di La7; tre anni dopo diventa direttore generale di Telecom Italia Media, l’editore di La7 e MTV, e porta sulla rete che vuole fare il Terzo Polo tv Daria Bignardi, Piero Chiambretti, Giuliano Ferrara e Gad Lerner. Poi arriva la vendita di Pirelli e la sua giubilazione, che raccontano oggi Carlo Tecce e Stefano Feltri sul Fatto:

Quando nel 2008 la Telecom cambia azionisti e top manager, da Marco Tronchetti Provera a Franco Bernabè, anche nella controllata Ti Media, cioè La7 finisce un’era. A Campo Dall’Orto vengono offerte due opzioni: andarsene subitocon unabuonuscitaminima immediatamente o provocare lo scontro totale con i nuovi padroni, anche legale se necessario. Campo Dall’Orto se ne va, si sposta nella provincia più lontana dell’impero, Mtv. Nei bilanci di Ti Media si trovano i numeri dietro questo divorzio. Nel 2007, Campo Dall’Orto ha una retribuzione complessiva di 1,2 milioni.
L’anno successivo prende 35 mila euro come consigliere d’amministrazione, 502 di “bonus e altri i nc e nt i vi ”, 1,9 milioni come incentivo all’esodo. In totale 2,4 milioni, poco come congedo da quello che avrebbe dovuto essere il terzo polo televisivo. Ma le perdite erano pesanti: 103,6 milioni di rosso nel 2007, 104 nel 2008. La nuova gestione di La7 nel giro di un anno dimostra che si poteva fare meglio: il rosso scende a 67,6 milioni. Ma il cambio più rilevante si nota nell’Ebitda, cioè quello che misura l’andamento della gestione caratteristica dell’azienda: con Campo Dall’Orto era negativo di 42,5 milioni, con Gianni Stella solo di 7,3.

Dal settembre 2008 diventa vice Presidente Esecutivo Viacom, che lascia dopo 15 anni, nel 2013. Intanto c’è chi ricorda che con il suo addio a MTV svanisce anche il sogno del terzo polo e La7 dà il via a un ridimensionamento che qualche anno dopo portò alla vendita a Cairo.
campo dall'orto luttazzi
IL CASO DECAMERON E IL POVERO FERRARA
Nel frattempo però Campo Dall’Orto ha dovuto gestire qualche problemino tipico di chi lavora in televisione. Come la chiusura di Decameron, il programma con cui Daniele Luttazzi festeggiò il ritorno in RAI dopo l’editto bulgaro che lo aveva spedito lontano dagli schermi. Ma il primo dicembre accade il patatrac: nel suo monologo attacca Giuliano Ferrara, di cui ricorda che disse che Berlusconi aveva avuto «il coraggio di dire che lui, in fondo, era contrario alla guerra in Iraq. Come si fa a sopportare una cosa del genere? Io ho un mio sistema, penso a Giuliano Ferrara immerso in una vasca da bagno con Berlusconi e Dell’Utri che gli pisciano addosso, Previti che gli caga in bocca e la Santanché in completo sadomaso che li frusta tutti». La battuta è in realtà una «citazione» (nel senso luttazziano del termine: molto libera, senza attribuzione della fonte) del comico Bill Hicks, e il giorno dopo si scatena l’inferno sui giornali tutti pronti a prendere le difese del povero Ferrara e degli altri nominati nella frase.

E questo porta alla chiusura del programma di Luttazzi. Campo Dall’Orto difese così la sua scelta in una intervista al Corriere della Sera:

«Nella vicenda Luttazzi sono emerse due questioni. Una, molto dibattuta sui giornali, legata al rapporto tra la libertà di espressione del singolo e la libertà di altri soggetti, mediazione che nel caso di una tv avviene attraverso l’editore. In sintesi: la responsabilità di essere liberi. E poi una seconda, meno affrontata: l’etica d’impresa. Ovvero il rispetto delle persone che fanno parte di uno stesso gruppo creativo di lavoro, proprio come il nostro. E di conseguenza il rispetto del pubblico ».
Lei non sembra temere l’etichetta di censore.
«Nessuna paura. La mia storia personale dimostra il contrario: Lerner, Crozza, la Bignardi, Ferrara. Personaggi diversissimi tra loro, spesso in contrasto, ma legati da un patto: totale libertà e senso di responsabilità. Ripeto: verso il gruppo e verso il pubblico. Ecco qui la nostra ricchezza editoriale. Censore? Non ho paura della parola, quando qualcuno prova a relegarti in un ruolo che non ti appartiene. Se poi è una strumentalizzazione, chi se ne frega».
Ma sua «etica d’impresa» vieta di dire la propria sul tuo «vicino di canale»?
«Assolutamente no. Proprio Daniele contestò l’intervista di Daria Bignardi a Dell’Utri. Fu un normale confronto. Nella vicenda Ferrara ho visto solo un attacco personale, un insulto gratuito. Bella differenza tra il confronto e un uso improprio della tv». Poi aggiunge: «L’ottica anglosassone di un’azienda televisiva ha come base la creazione di valore. Un obiettivo che esige regole forti: non puoi insultare chi lavora con te, non puoi insultare il tuo pubblico, per esempio».
I sostenitori di Luttazzi affermano che Ferrara avrebbe fatto pressioni per togliere di mezzo Decameron…
«Falso. Giuliano si è fatto vivo solo dopo le mie decisioni. E per dirmi che dal punto di vista personale non gli importava nulla di tutto quanto. Ho apprezzato tono e tempi: ascoltare il suo parere prima, avrebbe comunque “complicato” ogni mia misura».
Cosa pensa ora di Daniele Luttazzi?
«Continuo a ritenere che sia molto bravo. E che sia possibile lavorare con lui quando aderirà a un patto professionale che qualsiasi impresa televisiva prevede».

Cinque anni dopo un giudice sancirà che quella era proprio una censura. Secondo la giustizia italiana La 7 censurò il Decameron di Luttazzi in modo arbitrario e illegittimo e per questo dovrà al comico un risarcimento di un milione e mezzo di euro.

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