ADHD: il centro per bimbi malati a rischio chiusura

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2014-10-02

Nasce «Adesso basta», un comitato spontaneo di genitori a difesa delle neuropsichiatrie infantili. E lancia l’allarme

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Adesso basta è un «comitato spontaneo di genitori a difesa delle neuropsichiatrie infantili» e ha l’intento di richiamare l’attenzione sullo stato dei servizi di neuropsichiatria infantile, servizi che sono fondamentali per la corretta diagnosi e il trattamento dei disturbi dell’età evolutiva tra cui l’ADHD.
 
RISCHIO CHIUSURA
Il rischio di chiusura del servizio di via dei Sabelli a Roma, nato nel 1967 con Giovanni Bollea, è stato segnalato più volte dagli operatori. «Rischia la chiusura per carenza di medici, infermieri e terapisti il centro di Neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli, storica struttura dedicata alle psicosi gravi di bambini e adolescenti che fa capo al Policlinico Umberto I. L’allarme lo lancia Maria Grazia Bastelli, sindacalista dei Cobas e coordinatrice dell’area infermieristica, che sta preparando una lettera aperta da mandare al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e al presidente della Regione, Nicola Zingaretti. Domenico Alessio, direttore generale dell’ospedale universitario, invece, minimizza» si leggeva sul Corriere di Roma lo scorso luglio (e in questa lettera aperta: «Non è la prima volta che ci rivolgiamo ai responsabili e dirigenti regionali ed aziendali, a politici, a giornali, opinione pubblica, e specialmente a tutti gli utenti e cittadini… Ogni volta abbiamo raccontato e dimostrato come stavano funzionando i nostri servizi sanitari e i nostri compiti formativi, e come si stesse riducendo, sia a livello di quantità che di qualità, l’offerta plurispecialistica nel campo neurologico, psichiatrico e neuroevolutivo per l’età evolutiva»).
 
LA SOLITUDINE DEI GENITORI
«Noi genitori qualunque – si legge ancora in Adesso basta – non possiamo non rispondere a questo disperato appello, perché le NPI soffrono ovunque, da nord a sud del nostro paese. Carenze di personale e servizi lasciano i nostri figli senza terapie adeguate e noi genitori, senza sostegno. Siamo soli, sempre in pellegrinaggio alla ricerca di un centro di eccellenza, spesso troppo lontano da casa per poter iniziare un percorso riabilitativo». Adesso basta ricorda anche il commento di Francesca Piperno, Flavia Capozzi e Gabriel Levi del marzo 2013: «Il nostro Ambulatorio generale riceve circa 1500 richieste l’anno. L’attesa è di 6/7 mesi, l’osservazione e l’indicazione al trattamento durano altri 2/3 mesi. Per quanto riguarda il trattamento, al nostro interno siamo in grado di assorbire un quarto dei casi ogni anno, con un tempo di attesa che va da 2 a 8 mesi, gli altri bambini devono fare richiesta in qualche altro centro pubblico, o privato convenzionato, dove il tempo di attesa è da 1 a 2 anni secondo la fascia di età. Per quanto riguarda i disturbi emotivi, cioè quelli dove non c’è un deficit cerebrale, per i quali vi è l’indicazione ad una psicoterapia, non ci sono dati plausibili, ma la situazione è probabilmente peggiore».
 
L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE
Sembra superfluo sottolineare l’importanza di una diagnosi tempestiva. Soprattutto quando si ha a che fare con disturbi dello sviluppo, i cui effetti possono essere tanto più irreversibili e compromettenti quanto più lasciati senza rimedio – per cercare un rimedio, ovviamente, è necessario sapere con cosa abbiamo a che fare (si veda Progetto Prisma o Prevalenza dell’ADHD in una popolazione pediatrica e sua esposizione al trattamento psico–comportamentale e farmacologico: «La diagnosi di ADHD è basata su criteri clinici ed è perciò influenzata dalla soggettività dell’osservatore. Tutto ciò porta ad un’ampia variabilità tra paesi, dipendente soprattutto dalla figura professionale cui è affidata la diagnosi. L’accuratezza, nella nostra esperienza, è garantita da un rigido protocollo diagnostico-terapeutico che vincola all’uso di alcune batterie di test diagnostici la cui riproducibilità permette di stimare la concordanza tra osservatori diversi. L’esistenza di una rete di pediatri e neuro-psichiatri, inoltre, permette un’ampia diffusione delle terapie comportamentali e cognitive e potrebbe ridurre proporzionalmente l’uso dei farmaci o il tempo di esposizione agli stessi. Il funzionamento di questa rete dovrebbe essere ottimizzato per permetterle di prendere in carico tutti i casi che necessitano di una qualche forma di trattamento»).
 
IL PREGIUDIZIO
L’appello ricorda anche come sia diffusa la convinzione che le patologie psichiatriche riguardino solo gli adulti, come sia comune la tendenza a considerare quelle dei bambini e degli adolescenti quasi come fossero strani oggetti non identificati, capricci o «stranezze» magari. Ancora una volta, l’importanza di avere servizi efficienti e capillari è facile da capire: riconoscere e trattarli in modo adeguato è cruciale per lo sviluppo e il futuro degli individui affetti da una psicopatologia. C’è anche un altro aspetto: lo stigma che la rimozione del problema rinforza nei confronti delle psicopatologie. «Le NPI italiane sono spesso abbandonate, il personale (se escludiamo i centri di eccellenza) non sempre formato. La formazione a volte [è] assente e il silenzio sui disturbi psichiatrici e dell’apprendimento in età evolutiva [è comune], condannano questi bambini a convivere con un male che mina le relazioni sociali, le capacità di apprendimento, il loro diritto ad un’infanzia normale. Un bambino che soffre è un’intera famiglia che langue: nel dubbio e nei sensi di colpa, nella solitudine e nell’impotenza e frustrazione». La colpevolizzazione delle madri ha la stessa aria di famiglia: «intere generazioni di madri colpevolizzate per la loro presunta anaffettività, causa scatenante dell’autismo del figlio. Ancor oggi si tende a puntare l’indice contro i genitori di figli troppo distratti, vivaci, dislessici, alienati, muti. Genitori colpevoli, attraverso comportamenti (errati) ed educazione (troppo morbida, troppo dura, comunque sbagliata), di essere la causa principale dei disturbi del figlio».
 
FORMAZIONE DEI MEDICI
Qualche mese fa Il Sole 24Ore ha pubblicato i risultati di un sondaggio realizzato da HealthMonitor CompuGroupMedical sui disturbi dell’apprendimento (Dislessia, l’«araba fenice» dei Mmg, 1 luglio 2014): «Se ne parla sempre più, e l’attenzione cresce a vista d’occhio sia tra le famiglie sia tra gli educatori e gli stessi camici bianchi, ma in questi ultimi prevale ancora il dato di una scarsissima formazione di base, di un pressapochismo dovuto per lo più a conoscenze parziali – e sovente errate – che genera confusione rispetto a disturbi di tutt’altra natura, come l’Adhd e l’autismo». Su 866 medici solo una metà conosce in modo soddisfacente i disturbi specifici di apprendimento, l’altra dimostra id avere una scarsa capacità diagnostica. Siccome i medici di base e pediatri sono il primo anello per l’accesso ai servizi e per la corretta diagnosi la scarsa preparazione è molto rischiosa. HealthMonitor CompuGroupMedical

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