I 20 miliardi del governo alle banche

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-12-20

L’operazione di salvataggio si tradurrebbe in un aumento del debito pubblico. I 20 miliardi serviranno come garanzia di liquidità per ripristinare la capacità di finanziamento a medio e lungo termine e per il rafforzamento patrimoniale

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«Il governo chiede al Parlamento l’autorizzazione ad adottare provvedimenti con effetti finanziari fino a un massimo di 20 miliardi di euro»: la frase è contenuta nel comunicato pubblicato al termine del consiglio dei ministri di ieri sera e serviva a dare il via libera all’esecutivo per procedere con la presentazione al Parlamento dell’autorizzazione a variare i saldi di bilancio. L’operazione di salvataggio potrebbe richiedere fino a 20 miliardi di euro e si tradurrebbe, del resto, in un aumento del debito pubblico. I 20 miliardi serviranno come garanzia di liquidità per ripristinare la capacità di finanziamento a medio e lungo termine e per un programma di rafforzamento patrimoniale nel rispetto delle regole Ue.
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I 20 miliardi del governo alle banche

I soldi serviranno prima di tutto per Siena. Il governo spera che il mercato creda al piano Mps e aderisca in massa alla conversione dei bond e all’aumento consentendo così un intervento «minimo» dello Stato, ma il si prepara al peggio con un decreto che metta in sicurezza la banca senese (e in prospettiva anche le altre) con una «ricapitalizzazione preventiva» secondo le regole Ue. Spiega oggi Andrea Ducci sul Corriere della Sera che le munizioni messe in campo dal governo hanno l’intento di rispondere a un duplice scopo:

A cominciare, secondo Padoan, dalla necessità di garantire «liquidità per ripristinare la capacità di finanziamento a medio e lungo termine». Il secondo obiettivo è assicurare «un programma di rafforzamento patrimoniale». Padoan lo ripeterà oggi davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato in vista del voto in aula. Resta che la garanzia della mano pubblica serve a scongiurare il bail in, ossia il salvataggio interamente a carico dei correntisti, azionisti e obbligazionisti. Ma a dettare l’agenda saranno,comunque, le operazioni di mercato in corso fino alla giornata di giovedì. In caso di una débâcle dell’offerta al governo non resterebbe che intervenire, riunendo al più presto un nuovo consiglio dei ministri per varare il decreto di salvataggio. Lo scenario peggiore con tanto di ricapitalizzazione preventiva implicherà in ogni caso sacrifici per i risparmiatori.

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I 20 miliardi del governo alle banche e il piano MPS (Corriere della Sera, 20 dicembre 2016)

I soldi serviranno probabilmente da subito per mettere in sicurezza il Monte dei Paschi di Siena. E sarà la terza volta dal 2009: si cominciò con 1,9 miliardi di Tremonti Bond, seguirono nel 2012 i Monti Bond per altri 4 miliardi. Ma questi erano prestiti: con il prossimo il governo parteciperà a un aumento di capitale vero e proprio:

Due le possibilità: o un intervento «di mercato», cioè con il Tesoro che sottoscrive l’aumento non solo per il 4% del capitale che già possiede ma anche per una quota superiore — qualcuno dice fino al 20%, cioè per un miliardo — secondo il precedente del Portogallo con la banca Bcp; oppure con una «ricapitalizzazione precauzionale» secondo le regole Ue del «bail in» nel caso in cui l’aumento sul mercato non riuscirà.
Di che cifra si parla in questa seconda ipotesi non è ancora definito ma potrebbe essere anche più alto dei 5 miliardi che Mps sta ricercando sul mercato. Per Mps si profila dunque di fatto una nazionalizzazione, la prima in Europa sotto le nuove regole sulle banche. Ma nel caso di un aumento «precauzionale» prima sarà necessario convertire in azioni, in perdita, i bond subordinati, compresi quelli in mano a 42 mila piccoli risparmiatori secondo il principio Ue del «burden sharing», cioè la condivisione degli oneri.

Soldi pubblici per istituti privati

Giovedì potrebbe essere quindi il giorno giusto per fare i conti dell’intervento di mercato e decidere ufficialmente l’entrata nel capitale del Montepaschi. L’intervento pubblico attiva le norme europee e fa scattare il bail in, che comporta l’azzeramento di azionisti, obbligazionisti senior, subordinati e conti correnti oltre i 100mila euro. Ma con il burden sharing, a cui il Tesoro fa riferimento nel decreto, vede colpire gli azionisti ma salvaguardare i correntisti e gli obbligazionisti senior. Gli obbligazionisti subordinati non vengono azzerati ma subiscono una conversione forzosa in azioni dei proprio titoli a un prezzo inferiore rispetto a quello nominale. Potrebbero avere un successivo ristoro.

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Il piano del governo (Il Sole 24 Ore, 20 dicembre 2016)

Il Sole 24 Ore ricorda che non è solo il Paschi il destinatario dei 20 miliardi del governo alle banche: Popolare Vicenza, Veneto Banca e Banca Carige sono quelle che, sulla carta, vengono subito dopo nella lista delle candidate. Per un motivo: sono le più vicine all’asticella posta dalla Bce quanto al capitale di vigilanza, e la bocciatura da parte della Bce in un esercizio di stress è una delle condizioni poste dalla disciplina comunitaria per la ricapitalizzazione pubblica senza infrangere le norme sugli aiuti di Stato.

Il cantiere a Nord-Est Per dimensioni e rilevanza, dopo il Monte dei Paschi l’attenzione è massima sulle due grandi ex popolari venete. La settimana scorsa sia Vicenza che Montebelluna hanno rivelato i coefficienti minimi di capitale richiesti dalla Bce: i due istituti stanno sopra, ma di poco e ogni minimo intervento strutturale può farle precipitare subito al di sotto. Considerato che le due banche stanno per varare un piano di ristoro da oltre mezzo miliardo per gli azionisti depauperati negli anni e una maxi-cartolarizzazione da 6 miliardi di Npl con inevitabili e conseguenti svalutazioni, è come se – virtualmente – fossero già sotto soglia: di qui la possibilità di ingresso dello Stato.
Che potrebbe essere agevolato dal progetto di fusione allo studio da parte di Atlante, azionista di stragrande maggioranza di entrambe le banche, che ha già individuato Fabrizio Viola come ceo della futura entità unica attesa entro la metà del 2017. Più complicata la partita in Carige. Qui c’è un azionista privato, la famiglia Malacalza, che prima di spalancare le porte all’azionista-Stato vorrà avere sufficienti garanzie in termini di modalità dell’investimento e permanenza nella banca.

Leggi sull’argomento: Il piano banche di Gentiloni e Padoan

 

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